ROMA E DINTORNI

TERRACINA
Terracina: cittˆ murata, forum, capitolium

TERRACINA - Città murata, Foro, Capitolium
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MURA URBANE - Il primo impianto della città murata, che è forse da attribuire all'età della dominazione etrusca ma che secondo altri è del periodo volsco, utilizzava nel miglior modo la giacitura naturale della "città alta", la quale sorge su uno sperone roccioso ad andamento irregolare, che, da una parte pecipita verso il mare, è, per il resto, dove più, dove meno acclive, tra Porta Maggio e la zona che dal Castello dei Frangipane scende a Piazza Santa Domitilla. L'asse maggiore dell'assai grossolano quadrilatero corre da ovest ad est, costituisce il decumano della città e misura all'incirca 350 metri; I'asse minore non supera in nessun punto la larghezza di 200 metri. La porta più importante di questa antica città murata era quella a ponente, e cioè verso i fertili terreni ai piedi del monte Leano, e verso le paludi: è la porta detta Maggio (da maior), al centro di uno dei lati brevi del quadrilatero. Il lato lungo nord può esser segnato dalla murazione che dalla estremità orientale di Via Pastrengo giunge fino alla "Porta Nuova" e di qui fino al Castello dei Frangipane: nel quale castello è con ogni verosimiglianza da riconoscere la prima acropoli della città murata.
In periodo successivo, e in relazione all'importanza militare sempre maggiore di Terracina (che fu considerata posizione chiave per eserciti provenienti dalla Campania, cosicché si ubicarono presso Terracina le "Termopili d'Italia") I'acropoli fu spostata a levante, al bastione della Vignola di S. Francesco o dell'odierno Ospedale, e l'abitato che occorse proteggere militarmente comprese le estreme pendici occidentali dello sperone su cui fu costruito il primo oppidum, e cioè si estese per 225 metri circa da Porta Maggio alla "Porta Romana".
Un periodo di grande fervore edilizio si ebbe a Terracina nei primi decenni del I secolo a. C., e cioè nell'età di Silla, e a questo periodo viene assegnata la nuova ultima acropoli a Monte S. Angelo, con le sue nove torri circolari in opera incerta sillana, fornite di camere di manovra, ubicate a distanze irregolari, e accessibili dal cammino di ronda. Taluno ha attribuito tale acropoli (che è a pietrame grosso cementato in modo piuttosto trascurato) ad età annibalica; ma Giuseppe Lugli fa osservare che l'attribuzione è inaccettabile, perchè alla fine del III secolo a. C. ancora dominano l'opera quadrata nei paesi del tufo, e l'opera poligonale nei paesi che, come Terracina, abbondano di pietra calcare: I'opera incerta era invece sconosciuta in quel tempo, quale paramento esterno, specie nelle mura urbane.
Notevoli sono a Terracina gli avanzi superstiti delle mura urbane in opera poligonale, più o meno regolare e accurata: non imponenti sono i resti di tali mura al castello dei Frangipane, dove fu verisimilmente stabilita la primitiva acropoli di Anxur; eccezionalmente imponenti sono le mura che rivestono l'angolo sud-est del colle su cui sorge la cosiddetta Vignola di S. Francesco (oggi Ospedale civico). I due lati del grandioso bastione fanno un angolo di quasi novanta gradi, di cui il meridionale va a morire contro la roccia e l'orientale "appare restaurato più volte verso l'estremità, sia in età sillana, sia in età medievale e moderna" (Lugli). L'opera poligonale è a bugne piuttosto grosse e irregolari; nella sovrapposizione dei blocchi vi è già una pronunciata tendenza ai piani orizzontali; lo spigolo del bastione corre con regolarità perfetta; nella parte più alta i blocchi sono di dimensioni più piccole.
In occasione dell'ultima guerra alcune bombe cadute sul bastione hanno danneggiato una parte del coronamento delle mura.

La parte più notevole della Terracina antica e medievale è quella che si raggruppa intorno al Foro Emiliano o Piazza del Municipio.

ARCO LAPIDEO D'INGRESSO DELLA VIA APPIA NEL FORO EMILIANO DAL LATO DELLA CAMPANIA - Salendo da Terracina bassa alla zona monumentale della Terracina romana per la Salita dell'Annunziata, il primo nobile rudere che s'incontra sulla destra è un grande arco lapideo. Non è un arco eretto per onorare un imperatore o un determinato personaggio, come si pensava prima che le distruzioni provocate dal bombardamento aereo del 4 settembre 1943 e successivi rivelassero la vera natura del monumento, è il fastoso ingresso della Via Appia nel Foro Emiliano per chi veniva dalla Campania. E non è un arco a un solo fornice, ma un arco quadrifronte, di cui almeno tre lati dovevano risultare aperti.
La fronte che guardava verso il foro, che è la fronte meglio conservata e che si sviluppa da nord a sud- misura in larghezza m. 6,40 ed ha una luce di m. 4,23; la fronte da ovest ad est è larga m. 5,37 ed ha una luce di m. 3,53. L'arco sorge su quattro piedritti dei quali i due volti verso il foro sono integri, gli altri due sono ridotti a modesti monconi, ma hanno misure analoghe. L'altezza della intera fronte raggiunge i m. 6,34 sino al sommo della cornice monumentale, la quale si profila con sagome molto eleganti conservateci anche in un disegno di Baldassarre Peruzzi. Dai piedritti fa risalto, nella fronte volta al foro, una leggera lesena coronata da un basso capitello su cui poi si leva la trabeazione monumentale; al di sopra della cornice lapidea sono i resti di una struttura muraria, che dovrebbero appartenere alla volta (a crociera ?) di copertura dell'arco quadrifronte.
Al di sotto dell'arco si è messo in luce un tratto perfettamente conservato della Via Appia, in allineamento con il tratto della via scoperto sotto le rovine del palazzo del Comune sul Foro Emiliano.
Che l'arco risulti poi all'estremo limite orientale dell'area del Foro risulta accertato dalla circostanza che al di sotto degli edifici di questo tratto della Via dell'Annunziata, dal lato meridionale della via, muoiono i lastroni della pavimentazione del foro.
Chi osservi il taglio quasi verticale che nel senso del suo spessore presenta l'arcata superstite di questo ingresso monumentale, dalla parte che volge verso l'odierna Via dell'Annunziata, non si può esimere dal dubbio che una seconda arcata seguisse alla prima in direzione di mezzogiorno. Una serie di arcate limitava dunque il foro sul lato breve di oriente? Una risposta non può ora essere data; notiamo comunque che nel disegno che il Peruzzi ci ha lasciato del foro di Terracina è qui segnato un edificio che reca, sulla fronte e sui lati, una serie di pilastri, che sarebbe la basilica d'età romana.
Proseguendo per la Via dell'Annunziata, si entra nel Foro Emiliano.

FORO EMILIANO - Si chiama Foro Emiliano la grande piazza su cui prospetta la Cattedrale di S. Cesario, e su cui prima dell'ultima guerra prospettava anche il palazzo municipale, dal quale derivò alla piazza la denominazione di Piazza del Municipio. La piazza corrisponde appunto al Foro dell'età romana; e la sua pavimentazione è ancora quella antica, eseguita per iniziativa e a spese di un Aulo Emilio figlio di Aulo, come testimonia l'iscrizione

A(ulus) AEMILIUS A(uli) E(ilius) STRAVI[t ..]

incisa in grandi lettere di bronzo (oggi mancanti), di un piede romano di altezza (m. 0,30) in una fila di lastroni rettangolari di pietra grigio chiara, correnti nel senso della larghezza della piazza (da nord a sud), e precisamente sull'asse mediano delI'area dell'antico foro.
Nel corso dei secoli parte dell'area del foro emiliano venne abusivamente occupata da costruzioni molteplici sia sui lati lunghi, sia sui lati brevi. Essendosi disgraziatamente accanito il bombardamento aereo dell'ultima guerra proprio sulla piazza e sulle sue adiacenze, possiamo oggi restituire al foro, su tutti i lati, le dimensioni originarie.
Per quel che riguarda l'iscrizione, si sono recuperate sei lettere del verbo stravi[t] "pavimentò". Nella parte di iscrizione oggi non più superstite è possibile vi fosse qualche altra lettera, come, ad esempio, P(ecunia) S(ua).
Sul lato nord (più precisamente dovrebbe dirsi nord-est) che è uno dei lati lunghi del foro la distruzione del palazzo del municipio ha permesso, allorchè si è provveduto alla rimozione delle macerie, di mettere in luce circa 25 metri della strada lastricata romana, certamente la Via Appia, decumano della città, utilizzata, quando ebbe attuazione il progetto del foro emiliano, quale limite settentrionale del foro stesso.
Sul lato sud (meglio sud-ovest) I'area dell'antico foro era stato parzialmente invaso per la costruzione dell'episcopio, della "Torretta" e di altri edifici. La rimozione delle macerie ha consentito di ritrovare la cunetta marginale di scolo delle acque, poi un breve ripiano, poi tre gradoni per l'altezza complessiva di 95 centimetri, poi ancora un ripiano, limitato da un muretto alto 60 centimetri, e un secondo più ampio ripiano in corrispondenza del sommo della volta delle gallerie di sostruzione del foro, correnti lungo questo lato sud (tra il margine sud del foro e il ciglio estremo esterno di queste gallerie di sostruzione la distanza risulta di m. 19,60).
Dal lato ovest, e cioè dal lato del Duomo si è constatato, mediante un saggio praticato nel cortiletto a ponente del fabbricato dell'episcopio, che sull'area del foro è costruita, per una profondità di m. 7,14 tutta la gradinata del Duomo antistante al colonnato del pronao e del campanile.
Infine dal lato est la pavimentazione antica del foro continua al di sotto degli edifici della Salita dell'Annunziata sino alI'altezza del fornice marmoreo che rimane a cavallo della Via Appia, e che ora deve esser considerato l'ingresso monumentale al foro per chi veniva dalla Campania. Partendo dalle constatazioni esposte, le dimensioni reali del foro risultano come segue: nel senso dell'asse maggiore, e cioè da ovest ad est il foro misura m. 83,46; nel senso dell'asse minore e cioè da nord a sud, il foro risulta di m. 33,32. Tradotte in piedi romani di m. 0,296 le due misure di m. 83,46 e 33,32 corrispondono rispettivamente a 282 e a 112 piedi. Può apparire ipotesi plausibile che l'architetto urbanista si sia originariamente proposto di dare al foro le dimensioni di piedi 300 X 120: condizioni particolari del terreno non gli permisero di raggiungere queste due cifre tonde.
Un cenno particolare merita il tratto della Via Appia che costituisce il limite nord del foro. La via è larga m. 4,12, cioè quasi esattamente 14 piedi romani; dal lato del foro la via è difesa da paracarri a distanze regolari di m. 1,76 (e cioè di 6 piedi), dal lato verso monte (che è in pendio) la via ha un marciapiede in lastroni di pietra disposti in senso normale all'asse della strada, i quali coprono la fogna per la raccolta delle acque di pioggia e delle acque luride.
Un altro cenno particolare è da fare per le sostruzioni di terrazzamento del Foro. Risultando, lo sperone di monte, in declivio sul lato volto al mare, si rese necessaria, per dare al foro le dimensioni e la sistemazione organica voluta, una triplice galleria di terrazzamento, che corre da ponente a levante. Delle tre gallerie le due più esterne (cui fa da limite, dal lato mare, il "Vicolo di Sottosusto") sono intercomunicanti, e sono divise una dall'altra da un muro sostenuto da pilastri. Le gallerie hanno inizio all'altezza della fronte posteriore del presunto tempio di Roma e di Augusto, ed hanno termine al di là della piazza del foro, all'altezza, circa, della Piazza S. Domitilla. Quanto alla terza galleria, più vicina al limite meridionale del foro, essa è naturalmente meno alta delle altre due perchè la roccia dello sperone di monte va gradatamente alzandosi verso la piazza, e correrebbe dalla fronte posteriore del tempio di Roma e di Augusto sino al limite di levante del foro, alquanto prima di Piazza S. Domitilla.

EDIFICI MONUMENTALI SUL LATO NORD DEL FORO - Nel suo noto disegno del Foro di Terracina Baldassarre Peruzzi segna sul lato nord del Foro un edificio templare esastilo periptero (nel complesso, 24 colonne sui quattro lati). Nel piano superiore della casa abitata al presente dalla famiglia Aceto, con ingresso dalla Salita Castello n. 2, si vede ancora, in sito e incorporata parzialmente in un muro, la parte superiore di una bella, grossa colonna scanalata cui è sovrapposto un capitello corinzio.

TEMPIO MAGGIORE DEL FORO EMILIANO (DEDICATO A ROMA E AD AUGUSTO ?) - A chiudere con alto decoro il lato breve occidentale del Foro Emiliano fu eretto, quando venne attuata la sistemazione del foro, un grande tempio divenuto poi, in età cristiana, il Duomo o Cattedrale di S. Cesario.
E ipotesi assai suggestiva l'attribuzione del tempio al culto di Roma e di Augusto. L'ubicazione dell'edificio a chiusura di uno dei lati brevi della piazza, e il fasto e la finezza del rivestimento marmoreo superstite della cella del tempio sarebbero in favore di questa attribuzione; e a questi argomenti se ne aggiungerebbe un terzo, e cioè la esistenza in Roma, nella chiesa di S. Agnese, di un grande blocco di marmo proveniente da Terracina e appartenente a un epistilio monumentale, con l'iscrizione

Romae et Augusto Caesari divi [f(ilio)] A. Aemilius a. f. ex pecunia sua f. c. (C. I. L., X, 6305)

Aulo Emilio è quello stesso personaggio che ha curato, a sue spese, la pavimentazione del foro di Terracina.
Ma l'iscrizione già esistente a S. Agnese è oggi dispersa, e, quindi, occorre andare cauti nel riferire l'epigrafe al grande tempio del Foro Emiliano, sia per la ragione che la trabeazione della fronte del tempio doveva esser lignea data l'ampiezza dell'intercolumnio, sia perchè esiste a Terracina un secondo frammento di epistilio, più tardo e in caratteri diversi e più grandi, in cui si leggono le parole incendio c[onsumptum ?] (C. I. L., X, 6333). I due testi non si accorderebbero fra loro. Potrebbe peraltro supporsi che l'epigrafe fosse ripetuta sul muro di uno dei lati.
Altri, e tra essi il Peruzzi nel suo noto disegno, attribuiscono il tempio ad Apollo, poichè tale tempio è ricordato negli atti della Passione di S. Cesario.
Comunque, del tempio sono riconoscibili le favisse ed è superstite una parte del rivestimento marmoreo, specie sui lati di nord e di ovest. Partendo dall'esame delle favisse (di m. 14,80 X 4,05 ciascuna), ed anche dallo spessore dei muri che dividono una favissa dall'altra, e dalla circostanza che a metà delI'asse trasversale del tempio il muro nord-sud di divisione di una favissa dalla prossima ha uno spessore doppio del consueto. Si tratterebbe di un tempio prostilo tetrastilo, con pronao profondo quanto è profonda la cella e nobilitato da una triplice fila di quattro colonne ciascuna, oltre le semicolonne levantisi sulla fronte della cella, così come si levano all'estremo degli altri tre lati della cella stessa. Per ciò che si riferisce al rivestimento marmoreo esterno della cella, colpiscono vivamente la finezza delle semicolonne scanalate con base attica, la bella fascia a foglie d'acanto corrente tra i lastroni verticali (ortostati) che si levano dallo stilobate, il muro isodomo delle pareti, e lo zoccolo scorniciato aggettante al piano dello stilobate.
Il rivestimento marmoreo delle pareti della cella sui lati di nord e di ovest è stato sempre visibile; nel novembre 1955 è stato riconosciuto in un vano secondario del duomo adibito a sagrestia un altro avanzo, scalpellato, del rivestimento marmoreo del lato di ponente di detta cella.
Imponente è il muro in grandi parallelepipedi di pietra disposti in corsi regolari, che costituisce la sostruzione del tempio sulla fronte postica, a ovest, nella Contrada Posterula. In corrispondenza del lato nord della cella si veggono ugualmente di sotto delle semicolonne della cella e ai lati degli accessi alle favisse, analoghe sostruzioni in parallelepipedi di pietra.

TEMPIO A TRE CELLE O CAPITOLIUM DELLA CITTA' - Subito al di là del Foro, dal lato di ponente della piazza, si era da gran tempo riconosciuta l'esistenza di un tempio a tre celle, un capitolium, come solevano chiamarsi questi templi caratteristici delle colonie romane, dedicati alla triade capitolina, Giove, Giunone e Minerva. Il bombardamento aereo dell'ultima guerra avendo distrutto tutte le costruzioni elevate al di sopra dell'antico tempio, ci ha permesso di liberare e restaurare l'edificio antico, di cui si conoscevano già le favisse, due delle pareti esterne, lo spigolo di nord-est, infine il basamento della colonna angolare del pronao a sud-ovest.
Il tempio, oggi libero da ogni lato, ha il suo prospetto sulla Via Appia che, venendo da Porta Maggio, costituiva il decumano della città. Della pavimentazione della Via Appia sul prospetto del capitolium si vedono ancora alcuni basoli, insieme col marciapiede antico, che corre a nord della via e che risulta tutto di lastroni di pietra, alti m. 0,30 (1 piede romano), lunghi m. 1,32 e sovrastanti alla fogna, larga due piedi romani (m. 0,59).
Ma era questo il capitolium originario della colonia romana del 329 a. C.? L'ipotesi è forse da escludere.
Sulla fronte rovescia della cella del capitolium odierno si è messa in luce, nello sgombro delle macerie, un'altra strada, finora ignota, corrente anch'essa da ovest ad est nel senso del decumano. Sorge quindi il sospetto che in età più antica di quella cui risale il capitolium della fase superstite, la Via Appia avesse un corso alquanto diverso, e cioè che, entrando in città da Porta Maggio, si tenesse un poco a nord del decumano che oggi imbocca il Foro Emiliano. Il tratto del più antico decumano che è stato messo in luce aveva una sostruzione in opera poligonale, che fu parzialmente distrutta e sostituita da un rozzo reticolato di pietra, allorchè furono gettate le fondazioni del capitolium quale noi lo conosciamo; cosicché non ci pare dubbia l'esistenza di un capitolium più antico.
Il capitolium della fase giunta sino a noi ha pianta di tempio prostilo tetrastilo, con ante sporgenti m. 2,33 (8 piedi romani). In fronte, da ciglio a ciglio della cornice del podio, il tempio misura m. 16,54 (m. 15,96 al vivo del dado del podio, tra esterno ed esterno delle colonne estreme); e misura sui fianchi, rispettivamente come sopra, m. 16,33 e m. 15,80. In definitiva la pianta può ritenersi quella di un quadrato di 56 piedi di lato (= m. 16,57): quadrato che torna ugualmente se si prende come base del calcolo la distanza tra centro e centro delle colonne estreme della fronte in m. 15,08 (= 51 piedi), e la distanza tra centro della colonna angolare a SE e centro della lesena angolare a NE.
I muri sono in opera reticolata a due colori: un ordine di piramidette di pietra chiara locale si alterna orizzontalmente e a linee sfalsate con un ordine di piramidette in tufo scuro. Il reticolato non era però, a quanto sembra, destinato ad esser visto, poichè nella parte inferiore di taluna delle pareti qualche lembo di intonaco superstite fa pensare che il reticolato stesso avesse un rivestimento di intonaco (opus tectorium) bene aderente, data la scabrosità della fronte delle piramidette. Tra fronte e fronte in opera reticolata la parte interna dei muri è in opera cementizia.
I due spigoli del tempio sulla fronte posteriore, e le fronti e i risvolti delle ante risultano però in pietra travertinosa, e recano lesene larghe m. 0,88 (3 piedi romani), a nove scanalature. Nella loro interezza le lesene misurano sino al sommo dell'abaco m. 7,50.
Il tempio è, come si è detto, a tre celle. Le celle misurano costantemente m. 9,25 in lunghezza, ed hanno altresì all'incirca una larghezza costante (la cella centrale ha una larghezza di m. 4,58, le celle laterali m. 4,53). I muri divisori tra cella e cella hanno uno spessore di m. 0,53; i due muri esterni uno spessore di m. 0,60. Dei muri delle celle verso il pronao sono superstiti elementi modestissimi; bene riconoscibile, per quanto danneggiata, è la soglia in pietra della cella centrale.
Sul pronao, il cui ripiano misura m. 14,76 (tra interno e interno dei muri delle ante ed escluso il risalto delle ante stesse) per una profondità di m. 4,78 (dai muri frontali delle celle all'asse o mezzeria delle colonne), riposano le quattro colonne della fronte monumentale, alte complessivamente con l'abaco m. 7,50, e rese preziose da 22 scanalature rivestite di stucco. Delle colonne (che hanno un diametro di m. 0,88 e si alzavano su una base attica alta m. 0,265) non rimangono che quattro elementi pertinenti alla colonna dello spigolo sud-ovest, e che hanno un'altezza complessiva di m. 5,32. Tra asse ed asse delle colonne è una distanza di m. 5,025, sicché è a pensare che la trabeazione fosse lignea.
Al pronao si accedeva mediante una rampa di 2 gradini che salivano in corrispondenza delle due colonne centrali, partendo da un ripiano più basso di m. 2,46 rispetto allo stilobate; detto ripiano era a sua volta imminente sulla strada in pendio, così che l'accesso al ripiano si suppone esistesse sul fianco orientale. Il nucleo interno dello stilobate è tutto in opera cementizia; all'altezza o piano dello stilobate corre lungo tutto l'esterno del tempio, sui lati di ovest, di nord, e di est, uno zoccolo sagomato in pietra, sotto cui il reticolato continua ad elementi di sola pietra.
Di particolare interesse dal punto di vista decorativo è il basamento superstite della colonna angolare di sud-ovest, basamento in pietra travertinosa, sagomata in alto e in basso (gola diritta sul plinto, e gola rovescia al sommo del dado). Il basamento è alto complessivamente m. 2,46; e al basamento fa seguito, sul fianco del tempio, un muro che risulta di elementi di tufo.
Al di sotto del tempio sono le favisse, cui si accede da un andito largo m. 2,34 e che corre lungo tutto il fianco occidentale del podio; la porta centinata di accesso alle favisse è larga quattro piedi romani (m. 1,18). La favissa d'ingresso che è sottostante al pronao misura m. 13,90 x 3,80, ed è alta sull'asse della volta m. 3,50. Le tre favisse sottostanti alle tre celle del tempio, a cui si accede per tre porte dalla favissa d'ingresso, hanno tutte una lunghezza costante di m. 8,60, un'altezza di m. 3,70, ed una larghezza che rispettivamente è di m. 4,40 per la favissa centrale, e di m. 4,10 per le due favisse laterali. Le favisse hanno, tutte, opera reticolata di sola pietra locale non alternata con piramidette di tufo.
Gli elementi acquisiti con i lavori di liberazione, di isolamento e di restauro del tempio a tre celle (1946-1948) mentre sono degni di particolare rilievo per le nostre accresciute conoscenze di un monumento così insigne, confermano, in relazione alla struttura dei muri, la datazione attribuita al tempio da Giuseppe Lugli, il quale riporta il Capitolium all'incirca alI'età del secondo triumvirato (a. 43 a. C. e segg.).

ARCO LAPIDEO D'INGRESSO DELLA VIA APPIA NEL FORO EMILIANO DAL LATO DI PONENTE, VOLTO A ROMA - A chi tenga presente l'esistenza di un ingresso monumentale al Foro Emiliano sulla Via Appia dal lato volto verso la Campania, vien fatto spontaneo di pensare che sulla Via Appia, nel punto in cui essa imbocca il Foro, dovesse esistere un ingresso monumentale anche dal lato volto verso Roma. L'esistenza di tale nobile ingresso non è oggi dimostrabile perchè la costruzione del palazzo Venditti (che scavalca con un fornice l'antica Via Appia nel tratto corrente tra la fronte, libera, del Capitolium e il Foro) deve avere incorporato in parte e in parte distrutto tale ingresso monumentale. Che però il fornice romano esistesse si può indurre con tutta verosimiglianza, perchè chi guardi attentamente la fronte posteriore del palazzo Venditti constata che in detta fronte, a destra, è incorporato un antico piedritto in blocchi di pietra, sul quale, alla giusta altezza delI'imposta di un arco, si vedono tuttora due piccoli conci a cuneo appartenenti a un'arcata.

TEATRO D'ETA ROMANA - Talune strutture murarie conservate presso la Piazza di Porta Nuova subito a nord del Capitolium, e precisamente alcuni tratti di tre muri curvilinei romani concentrici, e l'andamento generale curvilineo dei fabbricati moderni della zona inducono a sospettare che esistesse qui un antico teatro. Solo approfonditi e notevoli lavori di saggio o di scavo potranno mutare in certezza quella che sinora è verosimile induzione.

Cosiddetto TEMPIO DI MINERVA - Verso l'estremità occidentale del bastione di San Francesco, imminente al Parco della Rimembranza, si vedono gl'imponenti avanzi del cosiddetto Tempio di Minerva. E' un muro o basamento di sostruzione, in blocchi parallelepipedi lapidei di grandi dimensioni (taluni sono lunghi in fronte quasi due metri), disposti per fianco e per testata, in file orizzontali assai accurate. Il basamento, lungo circa 25 metri, raggiunge pressoché sette metri di altezza ed ha soprattutto i corsi più bassi in bugnato grezzo. La pertinenza del muro a un tempio di Minerva è del tutto ipotetica, e si fonda solo sul fatto che scrittori antichi attestano l'esistenza di un tempio di Minerva in Terracina (JULIUS OBSEQUENS, De prodigiis).


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