TERRACINA - Tempio di Giove Anxur
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TEMPIO DI GIOVE ANXUR (volgarmente detto "Palazzo
di Teodorico"), Sull'alto del Monte S. Angelo , l'antico mons Neptunius, a
più che 200 metri sul mare, sorse -forse sin dal IV secolo a. C.- un
tempio a Juppiter Anxurus, o Giove fanciullo, al quale verosimilmente
appartengono taluni pezzi architettonici e alcune protomi leonine di una cimasa,
gocciolatoio in alabastro del Circeo, rinvenuti nello scavo Borsari del 1894.
Il tempio che oggi conosciamo è quello in opera incerta, dell'età
di Silla (?): alla quale età si attribuisce anche la fortificazione
dell'acropoli ultima della città. Volendosi far vedere il tempio non solo
dal mare aperto, ma dalla stessa spiaggia, fu alzata sul ciglio del monte, su
una fronte di sessanta metri rivolta a sud-ovest, una imponente terrazza di
sostruzione, con dodici poderose arcate, impostate su massicci pilastri e
comunicanti fra loro per mezzo di aperture centinate, praticate nei muri
radiali. Questi muri radiali a loro volta si appoggiano a un muro longitudinale
massiccio, dietro il quale corre un alto ambulacro a volta, largo m. 3,55, e
lungo quanto è lunga la fronte ad arcate, con la quale l'ambulacro
comunica. Sui fianchi ovest ed est la terrazza sostruttiva che ha la profondità
di circa 9 metri continua con contrafforti a volta; dal fianco ovest si sale per
mezzo di una gradinata sull'anzidetta piattaforma sostruttiva, sulla quale si
leva, con asse spostato di 35 gradi, il vero tempio, di tipo corinzio, a pianta
rettangolare, risultante di un pronao molto profondo con gradinata di accesso, e
di una cella quasi quadrata (m. 13 X 14), con 6 semicolonne per lato. Contro la
parete di fondo della cella è un basamento per la statua di Giove Anxur.
All'esterno del tempio, sul fianco orientale è l'oracolo: una specie
di basamento quadrilatero attorno a una eminenza della roccia, nel centro del
quale basamento, in alto, è un foro comunicante con una caverna
accessibile ai soli ministri del tempio, e da cui i sacerdoti potevano emettere
le risposte oracolari ai quesiti dei fedeli. Innanzi e a sud-est del pronao del
tempio sarebbe l'ara (?) per i sacrifizi.
In una favissa, poco a nord
dell'oracolo, furono messi in luce gli ex-voto a Giove fanciullo e cioè i
piattelli di piombo per primizie e focacce da offrire al nume, balocchi pure in
piombo, e suppellettile domestica minuscola, quale appunto si addice a
fanciulli. Questi ex-voto si trovavano nel museo comunale, insieme con molti
pezzi architettonici, frammenti di sculture in marmo e qualche bollo laterizio:
provenienti tutti dallo scavo del tempio. In occasione dell'ultima guerra
mondiale gli ex voto in piombo sono stati asportati.
A levante del grande
tempio è il cosiddetto Piccolo tempio, che verisimilmente era adibito a
uso civile. Analogo è il sistema di sostruzione ad archi impostati su
pilastri: questi archi erano in origine 9; ai due estremi erano due avancorpi
con cisterne. La muratura ad elementi poco meno che informi e legati da malta
assai abbondante fa pensare ad un'età di costruzione alquanto anteriore a
quella del grande tempio. Più che un'opera incerta noi abbiamo qui una
struttura più affine all'opera cementizia.
PORTO DI TRAIANO - Era ubicato ai due lati dello
sbocco in mare dell'odierno "canale di navigazione" La Linea. Fu
ricavato interamente in una zona sabbiosa. Risultava di due moli disposti ad
angolo ottuso: uno con direzione nord-sud, uno con direzione ovest-est:
dall'estremità meridionale del molo nordsud si staccava un braccio di
molo curvilineo. Diametro massimo del bacino: m. 395; sviluppo dei moli: m.
1270; superficie deI bacino portuale: ettari 2 e mezzo.
La bocca del porto
era larga circa 120 metri, era orientata in direzione di nord-est, e si apriva
tra l'estremità del molo curvilineo e l'estremità orientale del
molo ovest-est. Nella parte interna dei moli erano incuneati circa 60 elementi
di pietra, con anelli di ormeggio (di m. 1,50 X 0,70 X 0,50).
La
costruzione del porto è opera di due momenti successivi. Il biografo di
Antonino Pio ricorda, tra i lavori promossi dall'imperatore, anche la
Terracinensis portus restitutio (Script. Hist. Aug., Antoninus Pius, 8, 2). il
porto di Traiano ebbe dunque bisogno di notevoli lavori anche al tempo di
Antonino Pio. In Terracina si è trovato un piccolo rilievo (ora al Museo
delle Terme, in Roma), in cui sono figurate numerose persone intente a una
costruzione che sembra una torre: costruzione la quale richiede l'utilizzazione
di una machina tractoria (una specie di "capra"); un operaio sta
tagliando una roccia; gli ordini per la esecuzione dei lavori vengono dati da un
personaggio che, dal paludamentum di cui è ammantato, dovrebbe ritenersi
un imperatore. Si è pensato con verosimiglianza che la torre possa
identificarsi col faro del porto di Terracina, e che nella roccia che si sta
tagliando debba vedersi il Pisco Montano, tagliato per dar luogo alla Via Appia
traianea: i due lavori sarebbero interdipendenti, in quanto la pietra ricavata
dal taglio del Pisco Montano sarebbe stata utilizzata per la costruzione del
porto.
Oggi il porto traianeo è completamente insabbiato.
TERME - Di due complessi termali si ha notizia per
Terracina: le terme Nettunie, e le terme in località "Le Arene".
Le Terme Nettunie sorsero presso e a ponente del Pisco Montano, se ne
conservano gli avanzi nella villa già Montani, oggi Salvini. Per i
diversi tipi costruttivi delle fabbriche, vanno assegnate a periodi successivi,
da Augusto a Severo; e furono verosimilmente alimentate dall'acquedotto
dell'Amaseno.
Le terme utilizzarono anche acque medicamentose. Vitruvio (De
architectura, VIII, 3, 15) Ci dice dell'esistenza in Terracina di un fons
Neptunius, le cui acque, se bevute, riuscivano mortali (evidentemente per
l'elevata quantità di arsenico che contenevano). In relazione a questo
pericolo, dice Vitruvio, "già i nostri antenati hanno, come si
narra, ostruito le sorgenti" (antiqui eum (fontem) obstruxisse dicuntur).
Peraltro le acque "riapparvero ... spesso alla superficie, perchè il
fonte fu nuovamente ostruito nei primi anni del 1700 ed ancora nel 1839 "
(A. BIANCHINI, Storia di Terracina).
Comunque, se di queste sorgenti si
sono perdute oggi le tracce, è da ricordare che sono tuttora visibili ed
utilizzate una sorgente di acqua magnesiaca presso la riva del mare, ai piedi
del Pisco Montano (in corrispondenza, all'incirca, del km. 102,850 da Roma), e
una sorgente di acqua sulfurea, un centinaio di metri più oltre (50 metri
circa prima del km. 103).
Terme delle Arene, o alla Marina. Notevoli ruderi
esistono in proprietà Ghezzi-Savarese, con aule talora absidate e ninfei.
Le strutture murarie sono in reticolato interrotto da fasce di laterizio. Altri
ruderi delle terme sono, in parte, a nord di Via delle Capanne (= Due Pini). Le
terme sarebbero sorte nei primi anni dell'impero e sarebbero state ampliate nel
periodo tra i Flavi e gli Antonini.
Furono forse alimentate dall'acquedotto
proveniente dalla località dove era il santuario di Feronia.
FORO SEVERIANO - Poco a levante della "Fontana
Vecchia" (che è la fonte più antica della città, della
quale ci si servì prima della costruzione degli acquedotti di età
romana) si sviluppò la Terracina bassa, ai due lati dell'odierno Corso
Umberto (che segue il tracciato dell'Appia traianea), nel periodo successivo
alla creazione del porto e alla "correzione litoranea traianea" della
Via Appia. La città bassa ebbe un suo foro (che viene detto comunemente
Foro Severiano) del quale furono messi in luce taluni resti nel 1886.
Il
Foro Severiano dovette essere anche un nodo stradale. Oltre la via che conduceva
verso la Campania attraverso il taglio del Pisco Montano e lungo il litorale,
dovette partire di qui una via che saliva al Foro Emiliano e alla Terracina alta
(via corrispondente forse all'odierna Salita dell'Annunziata), un'altra via in
direzione del porto, e una terza via (la Via Severiana) in direzione del
promontorio del Circeo.
ANFITEATRO - Nella Terracina bassa si trovano
alcune strutture murarie che appartengono ad un anfiteatro, a mezzogiorno del
Ponte detto del Salvatore che cavalca il canale La Linea, e a sud della Via
Antonia Martucci.
L'anfiteatro, in opera reticolata, è databile dal
primo secolo dell'impero. Le dimensioni generali dell'edificio (90 metri
sulI'asse maggiore, 68 metri sull'asse minore) possono essere stabilite, pur
nella scarsezza dei ruderi superstiti.
RUDERI DI ETA' IMPERIALE - A ponente della Via
del Piegarello, nella zona a sud-ovest della contrada denominata "Le Arene"
si trovano, in terreno di proprietà, alcuni ruderi di età
imperiale nei quali è stato riconosciuto un portico.
ACQUEDOTTI - Sono conservati a Terracina gli
avanzi di tre acquedotti:
1) Acquedotto di Feronia. E' forse il più
antico, da attribuire alla fine della Repubblica o al principio dell'Impero. Le
acque furono captate a qualche centinaio di metri a ponente della Mola di Mezzo;
lo speco fu fatto correre lungo la Via Appia; un serbatoio fu costruito presso
la porta principale della città perchè fornisse l'acqua alla parte
bassa di Terracina. Presso S. Benedetto si riconobbe un tratto di questo speco,
in opera reticolata, alto nell'interno m. 2,27, largo 0,60, rivestito di opera
signina o cocciopesto per l'altezza di m. 1,07 (Notizie degli Scavi, 1878). "La
sua conservazione, dice il relatore Pio Capponi, è perfettissima e la
costruzione stupenda". Un altro tratto fu riconosciuto nel 1894, in
prossimità della stazione ferroviaria, e fu seguito per circa 300 metri
(Notizie degli Scavi, 1894).
2) Acquedotto di S. Stefano. Così detto
perchè proveniente dai fianchi del Monte S. Stefano. La sorgente si
alimenta da numerose gallerie filtranti, scavate nell'interno del monte. Lo
speco passava sotto la vetta di Monte Croce, e dopo un percorso di oltre 6
chilometri, piungeva al recinto del Camposanto vecchio, a levante di S.
Domenico. Grandiose sono le conserve d'acqua del Camposanto vecchio, capaci di
contenere, pur riempite a metà, due milioni di litri d'acqua.
3)
Acquedotto di S. Lorenzo. E' alimentato da sorgenti delI'alta valle
dell'Amaseno, presso la borgata di S. Lorenzo. L'acquedotto che arrivava alla
curva della punta di Leano sopra il santuario di Feronia, ed entrava in
Terracina passando sotto il Castello, fu forse iniziato sotto l'impero di
Adriano e terminato sotto Antonino Pio. Si è dubitato che l'acquedotto
sia stato mai in attività; ma il Lugli fa giustamente osservare che
esistendo in Terracina due stabilimenti termali nella zona bassa della città,
è più che verosimile che uno almeno di essi sia stato alimentato
dall'acqua dell'acquedotto dell'Amaseno. Il castello di distribuzione
dell'acquedotto di S. Lorenzo si trova a mezzogiorno del castello dei
Frangipane, presso l'inizio della Via di S. Francesco, ed è chiamato
comunemente "La Ruota", perchè formato da due cilindri
concentrici, tra i quali Si raccoglieva l'acqua per distribuirsi poi in più
cunicoli. E' da ricordare che nel Museo Civico di Terracina (Catalogo Lugli,
Sala VI, n. 7-17) sono undici fistule aquarie con le iscrizioni reipubl(icae)
Tarracinens(is), col(onia) Tarracinensis, ecc.
MUSEO CIVICO (allogato nell'edificio del Liceo) -
Promotore della creazione di un museo comunale a Terracina fu nel 1894 Pio
Capponi, il quale, avendo ottenuto che dal Ministero della Pubblica Istruzione
venisse depositato in Terracina il materiale archeologico messo in luce in
quell'anno nello scavo del tempio di Giove Anxur sul Monte S. Angelo, donò
alla nascente collezione anche gli oggetti di antichità da lui posseduti.
Altri oggetti di antichità e d'arte, monete, ecc. furon donati dal conte
Agostino Antonelli, dagli eredi Narducci, dagli eredi Matthias,
dall'Associazione Numismatica Italiana, ecc. Anche il materiale messo in luce in
seguito a scoperte fortuite ha trovato luogo nel Museo Civico, di cui una
sezione è stata infine costituita da stampe e da pitture moderne donate
dal gruppo dei Pittori della Campagna Romana (G. A. Sartorio, O. Carlandi, C.
Innocenti, G. Raggio, C. Bertolla, N. Parisani, ecc.).
Fra il materiale
collocato nelle sei tra sale e salette minori del Museo segnaliamo in modo
particolare:
a) nella prima sala: I'ara marmorea con iscrizione alla "Providentia"
dell'imperatore Traiano (proveniente dal Foro Emiliano, e adorna, sui lati, di
due rilievi: vi è raffigurato l'imperatore con altra persona di statura
minore, in cui si può forse riconoscere un magistrato municipale; una
statua acefala di personaggio togato; un'iscrizione in cui si ricorda un
edificio costruito da Traiano nel 109 d. C.; una bella epigrafe d'età
repubblicana col nome di L. Pomponius Bithus; due basi onorarie col nome di
Avianius Vindicianus cons(ularis) Camp(aniae);
b) nella seconda sala: una
testa di principe (?) giulio-claudio; una statua femminile e una statua virile,
ambedue acefale, in cui il Lugli riconosce delle probabili divinità, e
cioè Hygia e Asklepios; due grandi elementi marmorei di un cornicione
monumentale; una statua loricata (di imperatore ?); un sarcofago con putti
sorreggenti un festone; alcuni pannelli decorativi con tralci di vite, putti
vendemmianti, uccelli, ecc.;
c) in altre sale: una testa, più grande
del vero, di dea (?), che proverrebbe dal tempio di Giove Anxur; le are funebri
di C. Manilio Valente e di Tiberio Giulio Optato Ponziano prefetto della flotta:
notevoli dal punto di vista decorativo; un puteale con satiri e menadi danzanti;
talune fistule aquarie iscritte, ecc. Col materiale archeologico sono anche: un
busto in marmo di Pio VI attribuito al Canova, un busto di Gregorio XVI
attribuito al Thorwaldsen, un busto di Pio IX del Tenerani.
Nel museo è
infine il calco della Statua di Sofocle, rinvenuta in Terracina, in un terreno
di proprietà Antonelli, ubicato in prossimità dell'Anfiteatro d'età
romana, alle Arene. La statua, donata dagli Antonelli nel 1839 a papa Gregorio
XVI, è oggi ornamento insigne del Museo Lateranense. Fu restaurata dal
Tenerani. Si ritiene con grande verosimiglianza che sia la copia marmorea
dell'originale in bronzo che, fra il 350 e il 330 a. C., fu eretta a Sofocle nel
teatro di Dioniso in Atene, su proposta di Licurgo.
Dopo il 23 maggio 1944
(cessazione delle ostilità in Terracina) si constatò
l'asportazione dal Museo Civico delle collezioni di monete antiche (greche,
romane e bizantine), della stipe votiva già rinvenuta negli scavi 1894
del tempio di Giove Anxur, e di quadri dell'Ottocento, stampe del Piranesi, ed
incisioni ed acqueforti pregevoli.
SANTUARIO DI FERONIA - Sorgeva a tre miglia dalla
città, ai piedi del monte Leano, e comprendeva un bosco (lucus F.), una
fonte, e un tempietto. Alla fonte di Feronia si fermò anche Orazio nel
viaggio intrapreso per accompagnare Mecenate sino a Brindisi (Satire, 1, 5, 24).
Feronia, divinità venerata anche in altre località dell'Italia
centrale, e specialmente sul Soratte e in Sabina, era da taluni considerata come
la dea che presiedeva alla fecondità della terra, da altri era
identificata come Giunone vergine (Iuno virgo quae Feronia dicebatur, in SERV.,
ad Aen., VII, 799). Nel santuario di Feronia gli schiavi da affrancare venivano
fatti sedere su una pietra, da cui si alzavano liberi; sul loro capo veniva
subito posto il pilleo, segno della loro libertinità.
Negli scavi
che il Comune di Terracina dispose nel 1878 per la conduttura d'un nuovo
acquedotto dalla fonte di Feronia venne recuperata una testa femminile di
proporzioni maggiori del vero, che potrebbe appartenere al simulacro di Feronia.
La testa è alquanto logora e manchevole; e la capigliatura doveva essere
adorna di un diadema metallico, poichè vi son praticati alcuni piccoli
fori che dovevano servire alla tenuta di detto diadema.
Nel tratto fra il
santuario di Feronia e Terracina la Via Appia prima dell'ultima guerra mondiale
conservava quasi perfettamente l'antico basolato stradale; lungo la strada
sorgono i ruderi di taluni sepolcri monumentali.
Presso le sorgenti di
Feronia è stato distrutto durante la stessa ultima guerra, per
brillamento di mine, il ponte romano sulla Via Appia detto Pont'Alto, così
come è stato distrutto, sempre sull'Appia, il "Ponte Maggiore"
sul fiume Ufente.