Entrando nella Cappella Sistina, lo sguardo vola istintivamente alla volta,
che rivela immediatamente l'impronta possente del genio di Michelangelo, e si
rimane attoniti e quasi sgomenti. Così alto e solenne è il
linguaggio di Michelangelo, che disperiamo di comprenderlo. Si, è il
dramma biblico che egli rappresenta in questa immensa volta; ma sentiamo che
tutto qui deve avere un significato più profondo, che la nostra mente non
può comprendere. Michelangelo è un'aquila che si libra troppo in
alto, perché gli altri possano seguirlo nel suo volo. Guardiamo
stupefatti Giona che esce dalla bocca della balena come un immane gigante da un
antro e, tutto al più, ammiriamo il virtuosisimo di Michelangelo nel
creare scorci e prospettive, o nel riprodurre nelle circostanze le più
sfavorevoli corpi anatomicamente perfetti senza potersi servire d'alcun modello.
Non ci stanchiamo di riguardare l'Eterno Padre, che, sfiorando con un dito il
corpo del primo uomo, dona la vita ad Adamo, e assistiamo attoniti al miracolo
del Creatore, che sembra attraversare senza posa lo spazio. Contempliamo
estatici i corpi nudi, soffusi di bellezza eroica, che incorniciano i riquadri,
e la nobile architettura che crea uno spazio immenso in una volta bassa e
depressa. Ma istintivamente comprendiamo che un altro deve essere il significato
di queste titaniche figure di Profeti e di Sibille, di questi giovani atleti e
di queste figure secondarie, seminascoste, ma pur esse presenti alla genesi del
mondo, i cui volti esprimono, ognuno, un intimo dramma. Qui è
Michelangelo che, al colmo della sua potenza creatrice, irrompe come un titano,
trasfondendo nella volta della Cappella Sistina tutta la sua anima tumultuante,
la sua aspirazione al grande, al sublime, all'incommensurabile il suo desiderio
infinito d'abbracciare tutto il creato; e i colossi balzano giganteschi dal suo
pennello come figure scolpite nella roccia. Però l'idea ispiratrice della
sua creazione supera i limiti della nostra intelligenza. Michelangelo non vuole
stupire: egli dà solo sfogo al tumulto delle sue passioni e alle immagini
della sua fantasia, fieramente disdegnando il comune mortale che l'osserverà
dalla terra. Chi può veramente dire il significato profondo della sua
opera?
Venticinque anni dopo egli si accinge a dipingere il Giudizio
Universale, per ordine di Paolo III, vincendo la sua naturale riluttanza per la
pittura. Ma quanto è cambiato! Non più la giovanile baldanza, la
sconfinata sicurezza nel suo destino e la fiducia immensa nel divenire
dell'umanità. Ormai egli ha conosciuto l'iniquità, I'ingiustizia e
l'ingratitudine degli uomini, ha sofferto persecuzioni, lutti, dolori; il suo
cuore è esacerbato, e traduce tutto il suo sdegno nel Dio irato, che
condanna implacabilmente il genere umano. Non può resistere alla
tentazione di riprodurre se stesso, stizzito e accigliato, nella pelle di San
Bartolomeo, come una vittima della malvagità umana, e di attribuire al
giudice infernale i tratti fisionomici di un suo feroce avversario; e come se
fosse un Dio egli stesso, avvalendosi della sua arma formidabile, scaglia sugli
uomini la sua maledizione. Egli non può fare a meno di rappresentare,
accanto ai reprobi, gli eletti, gli angeli e i santi. Ma prova come una feroce
vo-luttà nel rappresentare i dannati in un groviglio di corpi nudi,
contratti negli spasimi del dolore, o sospinti da uno spietato Caronte verso
l'implacabile Minosse, sullo sfondo di un cielo livido, mentre accanto agli
angeli che richiamano i morti alla vita per il giudizio supremo, un peccatore,
sperduto nell'abisso della sua miseria, freme d'orrore davanti a una cosi immane
sciagura. La volta della Cappella Sistina può definirsi il canto
d'amore di Michelangelo, il Giudizio Universale, il suo canto dell'odio!
Le altre pareti della Cappella Sistina hanno splendidi affreschi del
Pinturicchio, del Botticelli, del Perugino, di Cosimo Rosselli, del Ghirlandaio,
di Luca Signorelli e di Elartolomeo della Gatta, rappresentanti fatti della vita
di Mosé e della vita di Gesù: e nella parte inferiore, dove si
innalzano i tronetti per i Cardinali, in occasione delle elezioni dei nuovi
Pontefici, un tempo, erano adorne dei celebri arazzi di Raffaello che sono ora
nella Pinacoteca Vaticana. La cappella è poi, divisa in due parti da una
transenna marmorea di Mino da Fiesole, di Giovanni Dalmata e di Andrea Bregno,
ai quali è dovuta anche la cantoria che è a destra dell'altare, e
ha un bellissimo pavimento cosmatesco. Basterebbero i più famosi di
questi affreschi, come quelli raffiguranti la Consegna delle Chiavi del
Perugino, la Punizione dei Sacrileghi, I'Idillio di Mosè con le figlie di
Jetro e la Purificazione del Lebbroso, del Botticelli, e gli Ultimi giorni di
Mosè, di Luca Signorelli e di Bartolomeo della Gatta, a formare la gloria
della Cappella Sistina. Ma essi sono offuscati e quasi schiacciati sotto il peso
immane di Michelangelo, che sovrasta come un sovrano incontrastato dalla parete
di fondo e dalla volta. Perciò faremo bene ad ammirare le nobili
architteture del Perugino e del Botticelli, la grazia dei paesaggi armoniosi, la
solenne compostezza, la nobiltà della espressione e la vivacità
della scena di quasi tutti gli artisti che hanno collaborato alla creazione di
questa magnifica opera d'arte, e sopratutto le languide e pallide figure del
Botticelli, tra le quali passa come un'ondata di primavera, la portatrice di
legna della Purificazione del Lebbroso, prima di approfondire le sublimi
creazioni del Maestro e prima che tutto sia quasi sommerso nel mare infinito
della sua grandezza.
Presso che contigue alla Cappella Sistina, le
fastose sale dell'Appartamento Borgia, sfarzosamente ornate dal Pinturicchio che
ha soffuso qui i tesori della sua grazia, fondendo in una meravigliosa armonia
il sacro e il profano. Ma nel fosco appartamento dei Borgia domina il ricordo di
Alessandro Vl e del crudele Valentino, che ci soffoca ogni dolce emozione e ci
strappa alla estatica contemplazione dell'ineffabile Santa Caterina, il cui
volto soave, secondo la tradizione, riprodurrebbe i dolci tratti ingannevoli di
Lucrezia Borgia. E ci affrettiamo a varcare la soglia delle Stanze di Raffaello,
sfolgoranti della luce della sua gloria. Al contatto di Michelangelo e in
un ambiente raffinato e d'alta cultura come la corte pontificia, la grazia
ingenua dell'Urbinate si è venuta gradatamente trasformando, e dagli
affreschi delle Stanze balza un Raffaello trasfigurato e ingigantito, d'una
potenza inconcepibile in un giovane di appena venticinque anni. Dov'è più
l'ingenuo autore di celestiali Madonne, che "le angeliche forme strappava
al Paradiso" pago di perseguire il suo ideale di bellezza, ma pur sempre
legato alla tradizione della scuola umbra? Al pari di Michelangelo, egli qui si
eleva come un titano e stupisce per la vastità della sua mente e per la
potenza della sua arte. La Teologia, Ia Giustizia, la Filosofia e la Poesia,
nella Stanza della Segnatura, e sopratutto Apollo rapito nell'estasi della sua
creazione sulla vetta del Parnaso, rievocano ancora il divino creatore di
bellezze quasi soprannaturali. Ma è nel Trionfo della Religione, che egli
celebra nella Disputa del Santissimo Sacramento, che raggiunge l'apice della sua
grandezza, in questa immensa scena, ricavata in uno spazio angusto, in cui
sembra che una miriade di angeli e di santi si affolli intorno alla Triade
Celeste e una moltitudine di Papi e di Padri della Chiesa sia riunita intorno a
un altare, sul quale brilla come un astro l'Ostia divina. Tutta l'immensa scena
è soffusa d'un senso di mistica poesia, e ogni volto ha una sublime
espressione, da quello di Adamo seminudo, tra i Santi del Cielo, a quello del
giováne ignoto che addita agli uomini la via della salvezza.
Il miracolo si rinnova nella Scuola di Atene, che rappresenta il Trionfo della
Filosofia; e vediamo i sapienti dell'Antichità e i principi e gli artisti
del Rinascimento raccolti nel Tempio della Scienza: scena stupenda, in cui non
si sa se ammirare più il creatore di una così nobile architettura,
o l'artista che ha saputo dare a ogni personaggio un così fiero e
appropriato atteggiamento. Platone e Aristotele, che avanzano dal fondo della
scena tra la commossa riverenza dei discepoli e degli altri savi, sono di una
solennità incomparabile, e Euclide con i lineamenti del Bramante: omaggio
di Raffaello all'amico che forse gli tracciò le grandi linee del tempio
sublime, chino su di una lavagna, nell'atto di misurare una figura geometrica in
un gruppo di giovani ammiratori, è una delle più stupende
creazioni di Raffaello. Accanto, al di là di Tolomeo e di Zoroastro, il
volto giovanile dello stesso Raffaello, che sembra rivolgere un timido sguardo,
quasi in contrapposizione allo sguardo folgorante del bellissimo Duca d'Urbino.
Francesco Maria della Rovere, dalle lunghe chiome fluenti, che è al lato
opposto della scena. Un'altra sorpresa ci riserva, nella Stanza di
Eliodoro, la Liberazione di San Pietro, un altro magico affresco, nel quale
Raffaello ha raggiunto effetti di luce di sorprendente bellezza. L'incendio
del Borgo, rappresentante Leone IV che spegne l'incendio facendo ii segno della
Croce dalla loggia per la benedizione attigua alla vecchia Basilica di San
Pietro, è particolarmente interessante, perché dimostra in modo
indubbio l'influenza di Michelangelo su Raffaello. Ma la sua esecuzione è
inferiore a quella degli altri affreschi, per la collaborazione di Giulio Romano
e di altri allievi, perché Raffaello, ormai al massimo della sua
grandezza, è soffocato da troppe commissioni e non può condurre a
termine direttamente i suoi lavori.
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