
FONDI - Veduta panoramica della città (fine sec. XVI) |
CENNO GEOGRAFICO La città di Fundi (Fondi), a 74 miglia
romane da Roma e a 13 da Formia, è ubicata al vertice settentrionale di
una valle che è chiusa a monte dal massiccio dei monti Ausoni, e si
stende a triangolo verso mare. All'estremo di sudovest è Terracina,
all'estremo di sudest è Sperlonga da Sperlonga il lido marino prosegue
sempre in direzione di sud-est sino alla penisoletta di Gaeta.
Nella valle
sono vaste paludi; Fondi invece è in terreno sempre asciutto; e per Fondi
passa l'unica via della zona, l'antica Via Appia, la quale provenendo da
Terracina e dal Lazio, conduce dalla parte di levante, attraverso Itri, a
Formia, a Minturnae e alla Campania. Nella zona dei monti che dominano Fondi da
nord è, secondo il fondato parere di Colasanti, il famoso passo di
Lautalae, che dà adito alla valle del fiume Sacco (antico Trerus): la
quale valle era la principale via di comunicazione romana con la Campania, prima
che fosse aperta e assicurata la via più breve per Terracina, e cioè
quella che fu chiamata Via Appia.
Questa ubicazione cosi favorevole di
Fondi dal punto di vista militare spiega il perchè del sorgere e del
fiorire di questa città, dopochè, verisimilmente per opera di
genti osche, fu distrutta Amyclae.
Il fondo etnico originario di Fondi fu
essenzialmente ausone.
CENNO STORICO - Poche sono le notizie di
carattere storico che riguardano l'antica Fondi.
Si dice che la città
si sia arresa volontariamente a Roma, nel 338 a. C. essa riceve il diritto di
cittadinanza minore, la civitas sine suffragio; per l'amministrazione viene
inviato annualmente a Fondi un praefectus nominato dal pretore urbano. Il
diritto di piena cittadinanza Fondi lo riceve nel 188 a. C. per effetto della
legge del tribuno della plebe Gaio Valerio Tappo, e viene iscritta alla tribù
Emilia. Nel 174 a. C. i censori spiegano in Fondi un'attività edilizia.
È errata la notizia che Augusto abbia inviato qui una colonia di
veterani; è sicuro invece che la casa imperiale avesse qui notevoli beni,
come prova il ricordo di un procurator imperiale Formiis, Fundis, Caietae (C. I.
L., X, 8583).
Livia di Augusto era di madre nativa di Fondi, e questa
circostanza forse può essere messa in relazione col possesso di taluni
dei beni di cui sopra.
IMPIANTO DELLA CITTÀ E MURA URBANE - La
città ha pianta quadrata, è regolarmente divisa da decumani e da
cardini, ha la forma ideale di un accampamento, con le sue quattro porte agli
estremi del decumano massimo e dal cardine massimo, e col suo foro al posto del
pretorio, nel centro della città, nel luogo dove oggi sorge la chiesa
madre di Santa Maria. Si direbbe il "tipo di un'impianto di
accampamento, secondo norme rituali.
Ognuno dei lati della città
misura poco meno che 400 metri, e il perimetro delle mura si accosta ai 1550
metri un perimetro che "risponde con esattezza quasi matematica a quello
del Palatino" (Pais). La larghezza delle vie è all'incirca la
stessa che può notarsi nei vecchi centri di Napoli greca e di Torino
romana.
La cinta urbana di Fondi è il monumento antico più
caratteristico della città. La cinta è, in genere, in opera
poligonale assai accurata, da ascrivere ad un'età di perfetto sviluppo di
tal genere di costruzioni. Sono, dice il Pais, mura "gentili". Non vi è
ancora, in gran parte della murazione, la tendenza alla regolarità della
disposizione dei blocchi in file orizzontali; la connessione è ancora,
quanto si può, poligonale; ma essa è accuratissima; le facce dei
blocchi sono levigate, non vi sono spazi tra blocco e blocco riempiti con
scheggioni di risulta. In altre parti l'opera megalitica è più
rude; in altre ancora la messa in opera è condotta per file
tendenzialmente orizzontali .
La cinta murale di Fondi si è
mantenuta sino ad oggi nei limiti antichi, pur essendo stata, la città,
più volte incendiata, abbandonata, restaurata durante l'evo medio; dal V
(?) secolo a. C. sino ad età recentissima la città occupa la
identica area.
In età che forse è sillana si addivenne a una
parziale ricostruzione di porte, torri e mura, come risulta da iscrizioni
incorporate nella cinta murale (C. I. L., X, 62336235, 6239). Particolarmente
notevole la porta romana conosciuta oggi col nome di Portella.
Anche ad età
sillana è da ascrivere una cospicua attività edilizia, secondo
che può desumersi dall'impiego, in talune costruzioni, del
caratteristico paramento in opera incerta.
RINVENIMENTI ARCHEOLOGICI ED ANTIQUARIUM
COMUNALE - Già da più decenni è stato destinato dal
Comune di Fondi il chiostro terreno dell'ex convento di San Francesco per
depositarvi materiale archeologico di vario genere (frammenti architettonici,
epigrafi, colonne miliari, urnette funebri, rilievi appartenenti a sepolcri
monumentali, ecc.).
Nei lavori eseguiti per la fognatura della città,
dei quali dà conto D. Mustilli in Not. Scavi, I937, oltre alla scoperta
di alcuni tratti del basolato delle strade dell'antica città, sono stati
estratti: un busto colossale notevolissimo di Augusto, dai tratti fortemente
idealizzati, un ritratto virile che si dubita possa essere di Giulio Cesare, una
statuetta di fanciulla romana in veste di Diana, alcuni torsi virili, una testa
di caprone, qualche altro marmo (un'ara circolare, un puteale marmoreo, un'urna
cineraria), e un certo numero di blocchi architettonici (della lunghezza
complessiva di più che 10 metri) appartenenti a un epistilio marmoreo
monumentale, adorni di un fine fregio con fiori d'acanto e palmette unite da
girali. La massima parte di tale materiale è andato ad arricchire
l'antiquarium locale.
Nell'estate 1952 fuori della cinta urbana, nei lavori
di fondazione in una casa in via degli Ausoni, fu trovata la statua di un
vistimarius stante, di cui il volto, quasi integro, conserva la freschezza
originaria. Anche questa scultura è stata collocata, dopo il restauro,
nei locali dell'antiquarium comunale.
PRIMI SECOLI DEL CRISTIANESIMO - Il Vangelo
fu predicato a Fondi nei primi secoli della Chiesa. Nel suo territorio le
leggende agiografiche localizzano la presenza ed il martirio dei due santi Magno
e Paterno, periti al tempo della persecuzione di Decio (Lanzoni). Paterno, di
Alessandria d'Egitto, venuto a Roma per visitare le reliquie degli Apostoli, al
ritorno si fermò a Fondi, in un luogo detto campo Demetriano, dove si
erano rifugiati molti cristiani ed eresse una chiesetta in onore della Vergine.
Vi capitò poi miracolosamente il vescovo di Trani, Magno, il quale si unì
a lui. Infieriva la persecuzione e contro di essi l'imperatore Decio (25051)
mandò numerosi soldati, che fecero strage di cristiani, fra i quali
Magno. La località fu detta Valle del Martiri e il nome rimane ancora
vivo. Paterno si salvò fuggendo sul monte Arcano, ma tornato sul posto
per dar loro sepoltura fu sorpreso e sacrificato. Raccolti gli avanzi dalla pietà
dei correligionari e conservati nella chiesa Fondana, furono trovati nel 1578 e
deposti sotto l'altare maggiore.
Un antico sacello cristiano e alcune
iscrizioni latine scopri nella località Villa di S. Magno l'Aurigemma nel
1912.
Di S. Magno si narra che operò molti miracoli. Nell'eremo
omonimo furono sepolte le sue spoglie che nell'846, per sottrarle all'odio dei
Saraceni, vennero trasportate a Veroli e di lì ad Anagni.
Verso la
metà del V secolo venne a Fondi S. Onorato, del quale parla Gregorio
Magno nei Dialoghi (lib. 1, cap. 1). Dal Sannio dove era nato raggiunse il
remoto asilo, fondato da Paterno e ampliato da Magno, ne ingrandì le
fabbriche e divenne il capo di quei religiosi che salirono a duecento. Eletto
come protettore della città, continua ad avervi un culto speciale.
Uno dei discepoli di S. Onorato fu S. Libertino, il quale acquistò grande
fama per i suoi miracoli, anch'essi ricordati da S. Gregorio, e fu preposto allo
stesso monastero di S. Magno verso la metà del secolo Vl, quando Totila
metteva a sacco la Campania con le sue soldatesche. Il monastero, che verso la
fine dello stesso secolo adottò la regola benedettina, ebbe confermate
alcune possessioni nell'anno 929 dai consoli e duchi Marino e Giovanni e più
tardi (1072) fu donato dal console Gerardo a Montecassino, mentre già lo
avevano retto preposti cassinesi fra i quali Mansone. Passò poi (1492)
agli Olivetani. La monumentale badia, che nel '500 toccò l'apice del
fasto e della potenza, è ora ridotta un cumolo di macerie.
Fondi,
patria del papa Sotero, fu sede vescovile fin dai primi tempi (236, forse per
opera del papa Antero). Un vescovo di nome Mariano, se mai esistè in
Fondi, deve essere posto alla fine del 111 secolo, perchè viveva ai
tempi di S. Mauro secondo la redazione Fondana degli atti del Santo, la cui "Passio"
è posta nel 22 novembre del 286. Sino alla fine del V secolo non si
trova citato alcun altro vescovo Fondano, se si eccettui Vitale (487502). Tra i
più noti è Agnello, il quale durante l'invasione dei Longobardi
dovè ritirarsi a Terracina. A lui sono indirizzate lettere da Gregorio
Magno sulla sinagoga degli ebrei in quella città, mentre da Fondi erano
fuggiti gli abitanti "ob cladem hostditatis", come scrive il Pontefice
(592), il quale per le stesse ragioni dovè aggregare la chiesa Minturnese
a quella Formiana.
EVO MEDIO E MODERNO - Nell' 846 Fondi fu arsa dai
Saraceni, che si inoltrarono per l'Appia sino a Roma.
Sappiamo che la
Chiesa, fin da età antica possedeva un "patrimonium" nel
territorio Fondano, dal quale si sviluppò a poco a poco un vero e proprio
potere politico. Cosi Giovanni VIII concede o dona la città agli ipati
bizantini di Gaeta Docibde e Giovanni (87375) per l'aiuto che ne aveva ricevuto
o che ne sperava ancora contro i Saraceni, i quali tenevano in soggezione la
città e Terracina (lettera all'imperatore Ludovico II, a. 875). Ma
anteriormente al 945 il ducato di Fondi fu staccato da quello di Gaeta e poi una
seconda volta tra il 983 e il 984. Nel 992 è ricordato come duca di Fondi
Leone; lo stesso e Marino figurano nell'anno 1002.
Il contado di Fondi
appartenne al regno Normanno fino al 1212, quando l'imperatore Federico II ne
confermò il possesso o lo cedette ad Innocenzo III, assegnandogli per
confine il Garigliano. La città, che soffrì un terribile incendio
nel 1222, fu occupata da Manfredi e dal 1266 fu soggetta ai re di Napoli. Egli
riconobbe conte di Fondi Riccardo II dell'Aquila, la cui famiglia ne godeva
l'utile dominio. Gli successe il figlio Ruggero e, spenta la discendenza
maschile, la contea fu data in dote a Giovanna dell'Aquila, la quale andò
sposa a Loffredo Caetani, nipote di Bonifacio VIII. Cosi la contea restò
sino alla fine del secolo XV nel dominio di questa famiglia. della quale i più
grandi rappresentanti sono Onorato I e Onorato II.
Il conte Onorato I,
investito di altri feudi nel Reame di Napoli e nello Stato pontificio, acquistò
un'autorità straordinaria; cosi che durante la residenza dei papi in
Avignone ebbe il vicariato della Chiesa. Toltogli questo da Urbano V per
istigazione della regina Giovanna I, diede il suo potente appoggio ai cardinali
dissidenti da papa Urbano VI, che prima convocò in Anagni suo dominio e
poi accolse entro le mura della stessa Fondi, ponendo indi la tiara pontificia
sul capo di Roberto di Ginevra (Clemente VII) e ospitandolo per sette mesi (21
settembre 137825 aprile 1379) con la corte papale nel suo palazzo detto perciò
palazzo papale, oggi casa RasilePlacitelli, presso la cinta delle mura
sillane.
Ebbe cosi origine lo Scisma d'Occidente che afflisse la Chiesa per
36 anni (13781414). Tuttavia con testamento del 26/3/1363, Onorato lasciava "pro
frabica" 40 once alla chiesa di S. Pietro, 25 a ciascuna delle chiese di
S. Maria, S. Domenico e S. Francesco "pro simili causa", 40 alla
chiesa dell'Annunziata "de novo construsta", per tacere degli altri
legati a favore di chiese e monasteri di Itri e Traetto (Minturno).
Onorato II Gaetani d'Aragona, logoteta e protonotario del Regno, deve essere
annoverato fra i più potenti feudatari del Regno di Napoli nel '400
(Caracciolo, Toraldo, del Balzo ecc.). Sono dovuti alla sua liberalità la
ricostruzione del palazzo baronale, la riedificazione, il restauro o
l'ampliamento delle chiese di S. Domenico, di S. Francesco fuori le mura e della
bellissima S. Maria in Piazza.
La sua signoria si estendeva su molti paesi
specialmente della Terra di Lavoro e della Campagna. Fondi, Monticelli (Monte S.
Biagio), Lénola, Pástena, Campodimele, Sperlonga, Itri, Sonnino,
Vallecorsa, S. Lorenzo (Amaseno), Ceccano, Pofi, Falvaterra, i castelli al suo
tempo disabitati di Acquaviva, Ambrifi e Campello in prossimità di Fondi,
Maranola, Castellonorato, Spigno, le Fratte (Ausonia), Traetto, Castelforte
Suio, Castelnuovo, Piedimonte (d'Alife), Morcone, S. Marco lei Cavoti, S.
Giorgio la Molara, Caivano erano feudi dei Gaetani d'Aragona. Dei paesi che
fecero parte della contea e gravitano su Fondi saranno dati brevi cenni.
La
descrizione dei beni e delle rendite in quelle terre, del gran numero di perle e
di monete d'oro e d'argento, di arazzi, tappeti e vestiti, di "polizze"
per pegni e prestiti, rinchiusi in grandi casse di noce intarsiata e riposti in
scrigni nelle sale del castello di Fondi, come risulta dall'Inventarium Honorati
Gayetani fatto alla morte del conte il 1491, confermano appieno il giudizio dei
contemporanei sulla grandissima potenza e ricchezza cui era pervenuta la
famiglia, la signorile prodigalità di Onorato che prestava denaro perfino
al sovrano, la magnificenza con la quale aveva ricevuto (2 aprile 1452)
l'imperatore Federico III e la moglie Eleonora di Portogallo.
Accorto uomo
politico, Onorato fu tollerante con gli ebrei, che esercitavano a Fondi come in
altre città l'industria o arte dei panni e attendevano al macello degli
animali piccoli e grossi, le cui carni non si potevano vendere ai cristiani. Il
toponimo "Giudea", tuttora vivente, sta ad indicare appunto il luogo
dove era raccolta la comunità giudaica, la quale era costituita da
numerose famiglie e aveva anche una "scola (o) vero Sinagoga" (Statuti
di Fondi, pp. 46, 56, 80): undici ne furono numerate di seguito nel 1447 tra i
512 fuochi della città, una popolazione cioè di 25003000
abitanti.
Al periodo che segna il culmine della potenza dei Gaetani
d'Aragona, nel fervore di opere che animava anche le terre della contea, si
riporta la legislazione statutaria di parecchie di esse, come quella di Fondi,
che è del 1474.
Alla discesa di Carlo VIII gli antichi signori
perdettero la contea. Il re francese concesse Fondi e altre terre finitime al
celebre condottiero Prospero Colonna, cui furono confermate da Ferdinando il
Cattolico nel 1504 in compenso dei servizi resigli durante le discordie della
guerra tra Spagnoli e Francesi nell'Italia meridionale.
Sotto la signoria
dei Colonna cade la famosa avventura di Giulia Gonzaga, la giovanissima e
bellissima vedova di Vespasiano Colonna, figlio di Prospero. Essa aveva saputo
trasformare il suo palazzo in un centro di vita elegante e di cultura: Vittoria
Colonna, il Flaminio, il Molza, il Tolomei, il Berni, il Soranzo e altri
illustri personaggi del Rinascimento le facevano festosa corona, a intervalli,
ospiti nella nuova Atene, attratti più che altro dalla fama della cultura
e delle virtù della Contessa.
La sua prodigiosa bellezza, eternata
dal pennello di Sebastiano del Piombo e di Tiziano, celebrata in versi
dall'Ariosto e da Bernardo Tasso, fu causa di una terribile incursione
turchesca. Nella notte dal 5 al 6 agosto 1534, il più audace predatore
del Mediterraneo, Kaireddin Barbarossa, sbarcato sulla spiaggia tirrena, a
Sperlonga, si cacciò a furia contro il castello per rapirvi la divina
Giulia e farne dono al sultano Solimano II, ma la contessa, avvertita a tempo da
un servo, riusci a fuggire e a nascondersi (a Campodimele a Vallecorsa ?) e a
far perdere le sue tracce. Il deluso corsaro sfogò la sua rabbia su
Fondi, trucidando abitanti e incendiando case.
Questa del 1534 non è
l'ultima delle invasioni dei pirati turchi; un'altra se ne ebbe nel 1594, dopo
che la signoria dei Colonna era terminata e il feudo era passato ai Carafa di
Stigliano. Sotto questi ultimi signori, poi sotto i Mansfeld (1701) e sotto i
Sangro che ottennero il feudo nel 1720 e ancor oggi ne possiedono il titolo,
Fondi, già provata da tante sciagure, entrò in un periodo di
decadenza e di spopolamento soprattutto a causa della malaria per le acque
stagnanti nella pianura. Se apportò un certo risanamento e per breve
durata la feudataria viceregina Anna Carafa, la quale aveva iniziato la
bonifica nel 1639, mancò poi la manutenzione e la plaga Fondana ritornò
sott'acqua. Poi la vita municipale si inserisce nelle grandi vicende storiche,
tutta la regione è avvolta nel turbine della rivoluzione francese,
infierisce il brigantaggio: gli avanzi del fortino S. Andrea, nella gola tra
Fondi e Itri, presso il quale corre il tracciato dell'antica Via Appia,
testimoniano il ricordo delle lotte sostenute. Inoltre, col concordato del 1818
è soppressa da Pio VII la sede vescovile e unita a quella di Gaeta. I
Fondani hanno ridato, con la bonifica, vita feconda a una piaga desolata.
CASTELLO E PALAZZO DEL PRINCIPE - Un complesso
notevole di fabbriche è costituito dal Castello propriamente detto e dal
Palazzo baronale (Palazzo del Principe), dimora abituale del feudatario.
Un
magnifico maschio o torrione rotondo, accuratamente costruito con pietre di
taglio, con merlatura sostenuta da mensole in aggetto, s'innalza grandioso
sopra una torre quadra di muratura irregolare e scadente, la cui base è
formata da grossi conci di pietra squadrata; esso è separato da una
intercapedine e perciò completamente isolato. Alla stessa epoca della
torre appartengono le restanti parti della rocca con le alte torri cilindriche
agli angoli, costruite con pietrame irregolare. Si hanno così tre epoche
distinte nella costruzione: base o zoccolo (forse del principio del secolo
XIII), torre quadra e torri laterali (principio del secolo XIV), mastio (seconda
metà del secolo XV). Hanno queste dimensioni: larghezza della base e
della torre quadra m. 14; altezza delle stesse m. 20; altezza del maschio m. 13
(base, torre e maschio, altezza complessiva m. 33); lato minore delle restanti
parti m. 20, lato maggiore m. 39, altezza m. 25 (misure fornitemi dal sig. G.
Iudicone, applicato presso il Comune di Fondi, con l'assistenza dei colleghi
dell'Ufficio tecnico comunale).
Anche il Palazzo, restaurato, presenta
elementi architettonici distinti: una porta nettamente di stile
angioinodurazzesco, come se ne vedono esempi nella città e nel quartiere
medievale di Gaeta, e un loggiato ogivale (con altra loggia al secondo piano),
al quale si sale con una scala esterna nel pittoresco cortile. Ma la parte più
caratteristica della residenza baronale è costituita dalla fantasiosa
decorazione delle eleganti finestre, monofore e bifore, ad ogiva e a centina,
due interne nel cortile e due esterne (in parte danneggiate dalla guerra),
formate nella parte superiore da una lastra di pietra tenera, lavorata a
traforo così da sembrare un ricchissimo ricamo, un pannello intagliato.
Onorato II, pervenuto -come si è detto- dopo l'invasione angioina
(1464) a grandissima potenza e ricchezza, volendo rendere la sua residenza più
adatta al suo nuovo stato, chiamò da Napoli o da Gaeta maestranze e
artisti forestieri. Si deve appunto al catalano MATTEO FORCIMANYA la nuova
squisita eleganza di linee e di ornamenti, magnifico esempio di arte
italocatalana che si manifesta anche in alcuni edifici di Carinola, di Gaeta,
di Sessa e di Capua.
L'epoca della ricostruzione del palazzo si può
fissare con certezza al periodo 14661477. Infatti Ferrante I concesse al conte
di Fondi nel 1466 il privilegio di portare il cognome e lo stemma di casa
d'Aragona: così le armi dei Gaetani partite con quelle aragonesi
figuravano nei camini e nei rosoni delle volte.
L'edificio, che formava
parte della cinta fortificata di cui si vedono ancora avanzi sulla strada di
circonvallazione, risulta ricostruito sulle antiche mura e nell'area compresa
tra la cinta castellana e la chiesa di S. Pietro (anche in altri borghi
medievali il castello è presso le mura urbiche e la chiesa madre). Rocca
e Palazzo, secondo l'osservazione già fatta da altri, erano uniti da un
arco, che accavalciava la strada e costituiva la porta della città verso
Napoli, e da un ponte volante, come è chiaramente indicato nella pittura
dello Scacco, mentre si scorgono ancora le due porticine a servizio del ponte.
Con qualche torre medievale, non è raro vedere a Fondi ampi e
alti portali in pietra calcarea ad arco ribassato e cortili con larga scala a
giorno.
Altro vanto della città sono le sue chiese, alcune di
architettura veramente pregievole, ricche di preziosi cimeli.
LA CATTEDRALE DI S. PIETRO - Una chiesa sorse
sulla base di un tempio pagano; nel IVV secolo fu ingrandita per le cure di S.
Paolino da Nola (GREGORIO MAGNO, Dialoghi, I, 12), il quale in seguito edificò
dappresso un'altra chiesa dedicandola al Salvatore. La cattedrale, sull'antica,
fu ricostruita dal vescovo Benedetto sotto il pontificato di Innocenzo II e il
consolato di Leone (11301136), a tre navate in stile gotico, mutando il titolo
di S. Maria in S. Pietro. La facciata, in pietra di travertino, ha un portale
ogivale intagliato, protiro formato da due colonne su leoni sostenenti
l'architrave su cui è scolpito a bassorilievo Cristo benedicente, con
quattro apostoli e due angeli. Sul cornicione, in un'edicola gotica, la statua
di S. Pietro, vestita di abiti pontificali, col triregno sul capo.
Incorporato tra l'abside e la serie delle cappelle laterali in cornu epistolae,
il campanile, appartenente alla seconda metà del XIII secolo, si
presenta, nella sua mistura di monofore romaniche a pieno centro, di bifore ad
arco acuto, di bifore trilobate nello stesso piano come un'opera architettonica
inorganica, assai inferiore a quella della torre campanaria di S. Maria e anche
più tarda (Serafini).
Con i lavori di restauro eseguiti poco più
di venti anni or sono (il tempio fu riconsacrato nel dicembre 1936), è
stato abbassato il pavimento così che i pilastri che reggono gli archi
delle navate mostrano una magglore altezza; rinnovato il soffitto a cassettoni
in luogo di quello costruito dopo l'incendio del 1817; una vetrata a colori,
artisticamente e finemente lavorata, ha sostituito un'antica finestra ogivale
coperta da un organo.
Nel pavimento del battistero, chiuso con inferriata,
sono statl adattati alcuni metri quadrati di mosaico, appartenenti alI'antica
chiesa. Dal lato opposto, a destra, la cappella della Madonna di Loreto, con
pitture interessanti.
Degno di particolare rilievo è l'ambone
cosmatesco, a cassa rettangolare, con ricca decorazione musiva e disegni
geometrici composti di smalti chiari, poggiante su quattro colonne erette sul
dorso di due leoni e due arieti. Nel mezzo, un quadretto in tela raffigurante S.
Girolamo. Agli angoli dei parapetti, quattro figurine di colore vivo
rappresentano i simboli degli evangelisti: il bue e l'aquila, il leone e
l'angelo. Tre versi incisi al di sopra degli archivolti contengono la firma di
un marmorario romano maestro GIOVANNI di NICOLA (seconda metà del secolo
XIII o, secondo il Toesca, del XII.
Nella navata di destra, nella parete di
fondo della cappella detta della Croce si eleva il mausoleo di Cristoforo
Gaetani conte di Fondi e logoteta del regno, morto all'assedio di Napoli contro
gli Angioini nel 1441. Il monumento, erettogli dal figlio Onorato II (epigrafe),
è sul tipo dei modelli napoletani di Tino di Camaino o secondo lo stile
di Donatello. Sorge sopra una base sormontata da tre leoni, sul cui dorso stanno
in piedi tre figure muliebri, raffiguranti la Forza, la Carità e la
Prudenza, che sostengono il sarcofago. Sul fronte dello stesso si vede incisa a
bassorilievo la Vergine col Bambino in grembo, con ai lati due angeli
sollevanti una cortina e, ai piedi, genuflesso, il conte Onorato. La Vergine è
tra il Battista e l'Evangelista da una parte, S. Caterina della Rota e S. Lucia
dall'altra. Sul sarcofago giace il conte in abito militare e con corona tra le
mani, tra due angeli eretti; al vertice, una croce con le figure di Maria e
Giovanni sui due lati.
La cappella racchiude anche la sedia marmorea a
mosaico che, secondo la tradizione locale, servì alla consacrazione di
Roberto di Ginevra, il papa scismatico Clemente VII. Per la spalliera
incrostata di grossi frammenti di marmi colorati che disegnano meandri, bisogna
riconoscervi, a giudizio del Bertaux, un lavoro di marmorario romano del XII o
XIII secolo.
In fondo, a sinistra, una Croce che raffigura un Cristo
dipinto su legno, di stile bizantino.
Nella stessa cappella sono posti
l'uno di fronte all'altro due grandi trittici dorati, della fine del secolo XV.
Quello a destra, sull'altare, è di ANTONIAZZO ROMANO e rappresenta la
Madonna col Bambino in trono, ai cui piedi è ritratto di profilo il
committente in ginocchio, il conte Onorato Caetani, "con la zimarra di
velluto e col berrettone baronale fra le mani, dalla grossa testa e dal collo
grosso" (Fogolari); negli sportelli, le figure di S. Paolo, con lo spadone
e col libro, e di S. Pietro.
Nell'altro trittico, del veronese CRISTOFORO
SCACCO (1499), spiccano sull'oro del fondo, chiare e lucenti, le figure
dell'Annunciata, assorta in preghiera, posta dentro a un tempietto sostenuto
da due pilastrini, e dell'Angelo che scende dal cielo. Negli sportelli, le
figure di due santi monaci, alti e solenni: a sinistra, S. Onorato abate,
rappresentato come protettore di Fondi con il modello della rocca cittadina
dalle tonde torri nella mano sinistra e col pastorale nell'altra; a destra, un
altro santo benedettino (S. Mauro o forse lo stesso S. Benedetto); in basso, la
predella con Cristo e i dodici apostoli .
Lo Scacco operò molto
nella regione: a Fondi, a Monte S. Biagio, a Itri, a Piedimonte, terre soggette
ai Caetani, anche a Sessa, a Salerno e altrove, alla fine del '400. Egli formò
una scuola pittorica meridionale, un cui esponente, uno stretto seguace, quasi
un imitatore è TUCCIO di GIUFFRIDA o di Goffredo da Fondi, come hanno
notato L. Salerno e R. Causa. Di questo artista, conosciuto da non molti anni,
fu raccolto tra le macerie in S. Pietro, nel 1943, un dipinto raffigurante una
Madonna in trono con Angeli, S. Girolamo penitente, S. Girolamo che legge,
restaurato dall'Istituto Centrale del Restauro. Il trittico, cm. 227 X 220, che
il Berenson aveva attribuito allo Scacco, è di Tuccio secondo lo Zeri
(Boll. d'arte, I949 Pag 340). Sono muti purtroppo i documenti editi di Casa
Caetani (Regesta chartarum) sull'attività svolta dai due artisti. (I)
(l) Un "TuCzo de Goffreda" risulta a Fondi nell'anno 1447, al
tempo della prima numerazione dei fuochi nel Regno di Napoli. Una lapide murale
nella chiesa di S. Francesco ricorda il patrizio fondano G. B. Goffredo morto
nel 1671, e il cognome Goffredo è ancora rappresentato in Fondi. Ben a
ragione perciò il pittore è detto "TUCCiO di Goffredo".
S. MARIA ASSUNTA Nel centro del paese si eleva
su un'ampia gradinata la chiesa rinascimentale di S. Maria Assunta (S. Maria in
Platea o in Piazza) ricostruita nel 1490 (iscrizione in basso a sinistra) da
Onorato II e consacrata nel 1508 dal vescovo Nicola Pellegrino, già
arciprete della stessa, come da altra iscrizione sulla porta della sagrestia .
Ha facciata a cortina di pietra, di travertino, con tre portali, dei
quali il mediano, più grande (m. 3 X 4,60), con ricche candeliere e
stemmi dei Caetani; al disopra di esso, una lunetta contenente il gruppo
marmoreo della Vergine col Bambino in trono, S. Caterina d'Alessandria e il
committente genuflesso orante.
La facciata è fiancheggiata a
sinistra dalla torre campanaria, con la base aperta a fornice (sottopassaggio)
in arco acuto secondo la tradizione laziale; il primo piano intermedio dotato
di bifore trilobate e cella munita di graziosissime bifore gotiche, le une e le
altre con colonnine tortili, basette e capitelli ad apici accartocciati e
cuspide piramidale su dado ottagono.
L'interno è a croce latina e a
tre navate divise da pilastri quadrati, con archi dissimili tra loro, e tre
absidi poligonali. Agli ultimi pilastri sono appoggiati due amboni di finissimo
marmo bianco in forme rinascimentali, con gli stemmi dei Caetani (tre per
ambone). Nel transetto sinistro, entro arcata, grazioso ciborio del 1491: figura
di Gesù in rilievo tra gruppi di angeli; in fondo a quello destro, altra
arcata simile, con altare dedicato alla Madonna del Cielo, del 1613.
Tra i
dipinti, è notevole un'Assunta di scuola napoletana nell'abside
cinquecentesca, che lo Schultz giudicava di stile del Criscuolo, pittore gaetano
(15071584), del quale esistono il gran polittico nell'Annunziata di Gaeta e
tele (1531) nell'oratorio annesso. Da altri il quadro è attrlbuito a
Pellegrino Pellegrini detto Tibaldi e anche Pellegrino il vecchio (1527-1596).
Due altri trittici conserva la chiesa, nella navata sinistra, che lo Zeri
dice eseguiti dallo stesso autore della Incoronazione della Vergine o di S.
Lucia, nella chiesa di S. Lucia in Gaeta, cioè "Iohannes Cajetanus"
o GIOVANNI da GAETA. Nel Presepio, che si assegna al decennio 14601470, "tra
un San Marciano dalla mitria costellata di innumerevoli perline ed un San
Michele Arcangelo in atto di debellare l'infernale dragone, il Bambino, nato
da poco entro una grotta archiacuta, è adorato dalla Vergine e da San
Giuseppe, mentre nel fondo due pastori si volgono all'annuncio che dall'alto
recano loro tre angeli". Nella Pietà, donatore, angeli e simboli
della passione (ZERI, n Maestro del 1456).
Sul primo altare a destra, poi,
trittico ad olio su tavola, in bella cona intagliata a fiorami e dipinta d'oro a
fondo azzurro, dedicato da Albino Saratta di Fondi nel 1569: raffigura l'Eterno
tra S. Giacomo e S. Gio. Evangelista; nella cimasa, a lunetta, la Vergine col
Bambino tra S. Onorato e S. Sebastiano; nella predella, Dottori della Chiesa. È
firmato "Gabriel Feltrensis".
S. DOMENICO La chiesa di S. Domenico, in fondo
alla via dell'Angelico e di fronte al campanile di S. Maria, denominata S.
Maria iuxta Amphiteatrum perchè sulle rovine dell'anfiteatro fondano,
era dei Benedettini e per opera del conte Ruggiero dell'Aquila passò ai
Domenicani stabilitisi in Fondi intorno al 1215. Quasi rifatta nel 1466 da
Onorato II, come da iscrizione posta sotto l'effigie del conte, sul portale
gotico intagliato (Rinascimento), è ora abbandonata per i gravissimi
danni della guerra.
Ad Onorato si deve anche il restauro dell'annesso
grazioso chiostro quadrato, con ampio portico a bassi pilastri ottagonali ed
archi ogivali formato da 23 colonne (20 ottagonali e 3 rotonde) che sostengono
gli archi della terrazza. Ha un giardino nel mezzo. Anche il convento,
originariamente dei Benedettini, passò ai Domenicani; soppresso nel 1652
da Innocenzo X, tornò alI'Ordine dei Predicatori tredici anni dopo. Ora
accoglie il civico ospedale, che vi fu aperto nel 1828 dai frati Spedalieri di
S. Giovanni di Dio.
Secondo una viva tradizione locale, riferita anche da
molti viaggiatori, per qualche tempo S. Tommaso d'Aquino insegnò
nell'antica sala capitolare, trasformata in infermeria, la quale mostra un
interessante portale e due finestre, delle quali una con traforo gotico e
l'altra a lancia. È certo che furono custodite nella cappella attigua le
spoglie del Santo (+ I274), portatevi da Fossanova, fino al 1367 quando il papa
Urbano V ne ordinò il trasporto a Tolosa (Francla), come ricordano due
lapidi.
Presentava una linea ancora imponente, prima della sua recente
distruzione, il campanile, costruito in fondo alla chiesa, tra questa e il
chiostro, nella prima metà del secolo XIII, in muratura a pietra
tagliata, con larghe monofore a pieno centro, diviso da volte all'interno e
coperto da una cuspide ottagonale (Serafini).
S. FRANCESCO Onorato I Caetani ha legato il
suo nome oltre che al piccolo castello sul territorio di Formia detto Castrum
Honorati (Castellonorato) anche alla chiesa e al convento di S. Francesco, da
lui ricostruiti nello stile ogivale allora tanto di moda nelle terre della
contea. L'esterno era infatti uguale a quello dell'Annunziata di Traetto
(Minturno). La costruzione di un piccolo convento in onore del Santo, fuori la
cinta urbana (altri conventi gli furono eretti in Itri, Traetto e Gaeta), venne
iniziata nel secolo XIII, ma uno più ampio con chiesa annessa edificò
verso la fine del '300 Onorato ("pro frabica" legò 25 once col
testamento del 1363). Il Wadding lo enumera tra i conventi delI'Ordine.
La chiesa, che è preceduta da un bel porticato ogivale, venne restaurata
un secolo dopo da Onorato II Gaetani d'Aragona (iscrizione del 1479 con lo
stemma incisi sull'architrave della porta). Deturpata in seguito e rovinata per
la guerra, nella navata centrale è stato rifatto il soffitto ligneo e
nell'unica navata laterale, di destra, che ricorda S. Domenico di Gaeta, sono
stati riaperti gli ampi archi ogivali. Ma è ancora chiusa al culto.
Conteneva alcuni quadri e sculture di pregio, fra cui un trittico, scomparso,
di Cristoforo Scacco, del 1483, raffigurante la Vergine col Bambino in braccio
tra S. Francesco e S. Antonio, e genuflesso il conte Onorato II.
Notevole
il campanile, che deve riportarsi al secolo XIII inoltrato o al principio del
XIV, in specie per la sovrastruttura ottagonale, che regge la cuspide; le
cupolette emisferiche possono essere un riflesso dell'arte musulmana
(Serafini).
Particolarmente interessante, armonioso per le sue linee
architettoniche, è il chiostro, costituito da un portico quadrato con 22
colonne ottagonali di pietra peperina, su cui insistono gli archi a tutto sesto
sostenenti le volte a crociera della terrazza. Nel mezzo un caratteristico pozzo
dell'epoca.
Nel convento è raccolto, come si è detto,
materiale archeologico e ha sede l'Amministrazione municipale.
Numerose
erano le chiese minori e cappelle urbane e ruralis. Bartolomeo, S. Gaetano, S.
Sebastiano, S. Antonio Abate S. Rocco, Madonna del Soccorso, Mater Domini, S.
Anastasio, S. Glovannl Gerosolimitano ecc. Quest'ultima presso il Ponte Selce o
Selice, descritta coi suoi beni in un " Cabreo del I739, tornerà
forse al Sovrano Militare Ordine di Malta, del quale e stata chiesa commendale.