Uscendo dalla Chiesa del Gesù, a sinistra, di fronte all'ingresso
principale del Palazzo Altieri, la facciata settecentesca del Palazzo
Cenci-Bolognetti, e accanto, la Via d'Aracoeli con lo sfondo del Campidoglio.
Dalla Chiesa del Gesù ha inizio il Corso Vittorio Emanuele vero e
proprio. Poco dopo, il Largo Argentina, così denominato da una torre
eretta in quei pressi da un Vescovo Burkard, nativo di Strasburgo (in latino
Argentoratum), detto, appunto perciò, Episcopus Argentinus.
Al Largo Argentina avremo occasione di ritornare, e avremo la possibilità
di ammirare i quattro templi repubblicani, recentemente scoperti, che sono nella
zona archeologica circondata di pini che è davanti al teatro.
Proseguiamo, invece, per il Corso Vittorio Emanuele. Dopo pochi passi, a
sinistra, il bel Palazzo Vidoni e, a destra, il severo Palazzo del Cardinale
della Valle. Ma la facciata principale del Palazzo Vidoni, attribuita a
Raffaello, è nella parte posteriore, in Via del Sudario: cosi denominata
dalla piccola Chiesa del Sudario, I'antica chiesa dei piemontesi e dei nizzardi
residenti a Roma, dove sono anche la casa del Vescovo Burkard, destinata ad
accogliere il Museo del Teatro, e la modesta chiesa dei Belgi. Poi la
Piazza Vidoni col monumento in bronzo al filosofo siciliano Nicola Spedalieri e,
in un angolo, I'«Abate Luigi», un'antica statua romana, un tempo
famosa, che esibisce sul piedistallo la sua carta da visita:
Fui dell'antica Roma un cittadino, ora Abate Luigi ognun mi chiama,
conquistai con Marforio e con Pasquino nelle satire urbane eterna fama;
ebbi offese, disgrazie e sepoltura, ma qui vita novella e alfin sicura.
Accanto, la chiesa seicentesca di Sant'Andrea della Valle,
un'altra delle più sontuose chiese barocche di Roma, sormontata da una
grandiosa cupola, che fa da sfondo al moderno Corso del Rinascimento, ed e la più
alta di Roma dopo quella di San Pietro. La sua facciata incompiuta attende
ancora d'essere coronata dall'astro sfolgorante sormontato dalla croce, che ne
avrebbe accresciuto lo slancio e la grazia armoniosa; e l'angelo dalle grandi
ali spiegate, che è in alto, a sinistra, attende ancora, e forse attenderà
invano per secoli che, dall'altro lato, gli faccia riscontro l'altro angelo
osannante al Signore, previsto da Carlo Maderno. Resa popolare da un dramma di
Sardou musicato da Puccini, anche questa chiesa, internamente, più che
una chiesa, sembra una sala sontuosa, una d'uno sfarzo più contenuto e più
sobrio di quella del Gesù. Ha ricche cappelle gentilizie con grandiosi
monumenti funerari, tra i quali quelli dei due Papi Piccolomini, provenienti
dall'antica Basilica Vaticana. L'Altare della Natività, nel transetto, a
sinistra, è una delle più felici realizzazioni della scultura
moderna. La cappella a sinistra dell'abside sembra, addirittura, che non voglia
cederla, per ricchezza di decorazioni. a nessuna delle chiese più
sontuose di Roma. Alla destra dell'abside, un piccolo suggestivo oratorio,
abitualmente chiuso. Proseguendo per il Corso Vittorio Emanuele, poco dopo,
a destra, il Palazzo Massimo, capolavoro di Baldassarre Peruzzi. Alla austera
facciata ricurva, sul Corso, in cui è facilmente riconoscibile la sagoma
dell'Odeon di Balbo, fa riscontro, nella parte posteriore, nella piccola
solitaria Piazza dei Massimi, una festosa facciata istoriata. Purtroppo, però,
essa conserva assai poco dell'antica decorazione monocroma. In questo palazzo il
16 marzo del 1583 San Filippo Neri ridonò la vita a un giovane; e ogni
anno, nell'anniversario del miracolo, il popolo è ammesso nel palazzo,
parato a testa, e nella sala dove si compì il miracolo, trasformata in
cappella, attraverso una deliziosa piccola corte cinquecentesca, che è
uno dei gioielli più squisiti del Rinascimento italiano. Accanto al
Palazzo Massimo, la Chiesa di San Pantaleo, protettore dei medici e delle
nutrici, con facciata neoclassica del Valadier; e subito dopo, il Palazzo
Braschi, di cui l'ingresso principale è in Via San Pantaleo: grandiosa
costruzione della fine del Settecento, che del fasto originario conserva solo un
superbo scalone, adorno di colonne di granito rosso orientale, che è
certamente tra i più belli di Roma. Il palazzo è famoso
soprattutto per la statua di Pasquino (avanzo di un gruppo ellenistico del III
secolo a. C.), addossata a uno dei suoi angoli, sul cui piedistallo lo spirito
caustico e motteggiatore dei Romani sferzava, con sonetti arguti e con satire
divenute famose, la vita e i costumi, soprattutto della Roma papale, continuando
un'antica tradizione, per cui, fin dal tempo di Quintiliano, la satira era
riguardata come una delle più antiche e più genuine espressioni
del popolo romano. Né se oggi tace la musa di Pasquino e degli altri
componenti il "Congresso degli Arguti": Madama Lucrezia, I'Abate Luigi
e Marforio, è cambiata la natura dei Romani. Solo che, alle vecchie
satire, affisse al piedistallo di una statua, se ne è sostituita
un'altra, diffusa con mezzi più rispondenti alla vita moderna e alla
evoluzione della città, se non, qualche volta, mormorata sotto voce, come
un geloso segreto, ma sempre egualmente arguta e mordace.
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