Lo spazio privato di Sherlock Holmes: il salotto, la carrozza.

 

I l motivo per cui ho scelto di occuparmi dello spazio privato di un personaggio "pubblico" come Sherlock Holmes risiede nell'enorme importanza che riveste il termine "privato" nell'lnghilterra vittoriana e tardo-vittoriana, ossia nella seconda età del secolo scorso e agli inizi del 900. E' un periodo che vede infatti contemporaneamente il nascere e l'affermarsi di concetti come privacy e identità sociale, e in cui emergono in campo letterario figure maschili post-romantiche altamente carismatiche dai tratti a volte diabolici le cui "avventure" si svolgono prevalentemente in ambiente domestico - pensiamo, ad esempio, al laboratorio del dottor Jekyll o alla soffitta di Dorian Gray. Nel caso specifico del nostro personaggio lo spazio privato, fortemente connotato in senso maschile, configura come teatro d'azione privilegiato di tutti quei meccanismi mentali di deduzione, abduzione e logica dialettica che caraterizzano il metodo investigativo di Holmes. Il suo salotto, che egli condivide con il dottor Watson, funge da studio, laboratorio e sala da pranzo; al contenpo trampolino di lancio, è il luogo in cui ha sempre inizio e fine l'awentura. E' insomma una vera e propria centrale operativa in cui Holmes, come un ragno, tesse pazientemente la sua ragnatela e si connota infine come il "confessionale notturno" di tanti visitatori . Ma non esiste una vera descrizione di questo ambiente; solo dai fugaci cenni che affiorano qua e là il lettore si fa un idea di quel mitico ambiente. Nessuno studio in rosso i dettagli sono ancora molto scarsi: vi è un divano: cena e colazione vengono servite sul tavolo del sitting-room; c'è un camino, una poltrona, un violino. Possiamo farci dunque un'idea abbastanza soddisfacente dell'appartamento sito al 221b di Baker Street soltanto dopo aver letto un certo numero di storie (e, magari visto altrettanti film e scandagliato altrettanti saggi scritti dagli innumerevoli studiosi holmesiani). In breve: le finestre in questione (o almeno una per certo) sono bow windows; c'è un caminetto; l'appartamento è situato al primo piano o comunque a un piano alto, per raggiungere i1 quale bisogna salire le scale (i famosi 17 gradini per la precisione). Non si parla di bagno, ma le camere da letto sono due, una per ciascuno: vediamo Watsorn entrare nella sua per prendere la rivoltella, e Holmes entrare nella propria per vestirsi per un inseguimento. Il lettore però deve, in entrambe le occasioni fermarsi sulla soglia: si tratta in realtà di "uscite di scena", e aspettiamo con ansia qualche nuovo ritrovamento di apocrifi per fare luce su queste due stanze finora poco esplorate. Tornando al salotto, c'è almeno una poltrona, più probabilmente due, e sicuramente due scrittoi. Sulle pareti, poi ci sono stampe, grafici scientifici scaffalature cariche di libri e un ritratto del generale Gordon (appeso dopo la sua morte, nel 1887); in un angoio c'è il tavolo per gli esperimeti chimici di Holmes, in mezzo un sofà. Holmes tiene la corrispondenza con un coltello piantato sulla mensola di legno del camino, spara colpi di rivoltella contro il muro e conserva il tabacco in una pantofola persiana. Ci sono giornali dappertutto, ma in nessuna delle storie c'è però un solo capo d'abbigliamento fuori posto o abbandonato a caso su una poltrona. L'odore di tabacco è forte e impregna l'ambiente: come sappiamo, Holmes ha la pessima abitudine di celebrare l'inizio della giornata fumando una pipa caricata con tutti gli avanzi del giorno prima. Poco per volta, il famoso disordine del salotto di Holmes viene a rivelare, attraverso la propria immutabile tipologia, la poliedrica personalità dell'investigatore, che accomuna in sè le caratteristiche dello scienziato, del collezionista, dell'ozioso, dello studioso. Molti psicanalisti si sono sbizzarriti nel dare di Holmes varie interpretazioni. Vi cito soltanto, tra gli altri, il lavoro più autorevole in Italia, che è quello recente dell'Argentieri ( l'articolo "Lo strano caso del Sig. H.", pubblicato nel catalogo del Mystfest e nella Agenda dell'anno successivo). In questo articolo l'Autore liquida in due colonnine, con una serie di ipotesi tutto sommato non particolarmente originali, la figura di Holmes, dicendo che, se veramente Holmes fosse stato in cura da Freud, questi avrebbe detto che il deteclive era un ossessivo, ma forse un ciclotimico...ma forse in fondo la buona vecchia isteria...ma sì, sarebbe stato definito sicuramente un isterico. Poi lascia perdere Sherlock Holmes e si mette a parlare di Sir Artkur Conan Doyle. E comincia a dire che il padre di Sir Arthur era finito pazzo...che forse a causa della paura di questa pazzia Conan Doyle era così razionale...un lungo discorso su questo medico dei primi del secolo, neppure poi professionalmente così celebre. Ora, voglio dire: ma cosa importa a noi di Sir Arthur Conan Doyle? Chi era Sir Arthur Conan Doyle? Un...un prestanome. Un personaggio di nessun rilievo, di nessun interesse. Noi stiamo lavorando su ben altro. Mi ritrovo francamente molto di più in un altro genere di interpretazione, che ha letto Holmes come un adolescente. E' una interpretazione che spiega a mio avviso tra l'altro anche meglio il successo che Holmes ha avuto. "Holmes era un isterico". E perché mai il pubblico avrebbe dovuto innamorarsi proprio di un isterico? Ce ne sono così tanti di isterici...Invece l'adolescente, l'eterno adolescente, quell'adolescente che non vuole crescere, è indubbiamente affascinante. Holmes un adolescente perché lo è nel suo modo di affrontare le indagini come battute di caccia, nel suo modo di vivere la sua amicizia con Watson: una amicizia in cui le donne non entrano perché non sono ancora arrivate. Per molti crescere vuol dire scegliere, e scegliere vuol dire rinunziare all'adolescenza, rinunziare alle potenzialità, alle fantasie, agli ideali: io credo che per questo ci piace Holmes: perché identificandoci con lui possiamo mantenere ancora vivo l'adolescente che non ha ancora scelto, ma non ha ancora nemmeno scelto di rinunciare ai suoi ideali. Ma Holmes per noi psicanalisti ha rappresentato anche una fonte di riflessione assai seria dal punto di vista metodologico. Nel 1979 in Italia ci si è accorti, grazie a Carlo Ginzburg, che era possibile tracciare dei paralleli tra la metodologia Holmesiana e altre due metodologie, quella psicanalitica e quella della critica d'arte. Ginzburg ha messo l'accento su un fatto: che in psicanalisi si usa quello che lui chiama "il paradigma indiziario"(e cioè lo studio a partire dagli indizi) ed era stato un medico, Freud,a parlarne per primo, che per quanto riguarda Sherlock Holmes era ancora un medico a costruire questa metodologia, e che anche un famoso critico d'arte, Giovanni Morelli, era un medico. Tutti e tre partivano dall'idea che era molto più importante partire dagli indizi che dalla visione globale del problema da risolvere (che era per uno una trama gialla, per l'altro l'attribuzione di un opera e l'ultimo un problema psichico). A proposito di questo discorso dei piccoli particolari, voi sapete che Holmes sostiene che basta osservare i piccoli particolari (che lui, e non gli altri, sa osservare) e l'enigma si risolve con facilità. Questo sembrerebbe essere un atteggiamento ingenuo, visto che la filosofia della scienza ha successivamente dimostrato che in realtà se non si sa COSA osservare, non si osserva un bel nulla. Holmes nel descrivere così il suo metodo bluffa o mente: in realtà il problema è invece cosa bisogna osservare, e una volta osservato, come si fa da quelle osservazioni ad arrivare a quelle conclusioni cui poi Holmes arriva. Holmes se la prende spesso con Walson perché gli dice in pratica che non osserva adeguatamente le cose. Poi però, in Barbaglio d'Argento, trova un fiammifero ficcato nel fango: Walson gli fa notare che non era possibile notarlo, se non si andava a cercarlo: e Holmes ribatte che è vero, lui "aveva immaginato che ci dovesse essere". Allora Holmes bluffa, non si limita ad osservare ma in realtà va alla ricerca del particolare: cerca il fiammifero lì perché ha già immaginato che le cose siano andate in un certo modo: e può immaginarlo perché nel suo pensiero si è liberato di un certo modo di pensare. Ecco, in questo senso io credo che la psicanalisi abbia un certo vantaggio sul metodo Holmesiano, perché Freud è riuscito a capire questo: quando Freud insegnava ai suoi allievi, anche loro erano in difficoltà a capire le cose che diceva. Lui diceva :"sessualità infantile", "complesso di Edipo" e loro ribattevano, coprendosi gli occhi: "non voglio vedere". Allora Freud dice: "visto che io vi indico le cose, ma voi non volete vederle malgrado siano lì, davanti ai vostri occhi, dovrò usare uno stratagemma: io vi addestro. Vi faccio seguire a un processo di iniziazione: vi sottopongo ad una analisi. E così gli analisti hanno seguito un processo di analisi, hanno imparato a vedere su se stessi le cose che vedeva il Maestro e così hanno imparato a vederle anche fuori di sè. Holmes invece non è mai stato un Maestro, non ha mai capito che Watson aveva delle resistenze a vedere quello che lui vedeva. Ma perché? Per vedere queste cose, quelle che lui vedeva e Walson non vedeva, entrava in un mondo dove la realtà perdeva i suoi rigidi confini. Corsellini ieri era molto in linea con questo tipo di ragionamento: lui sosteneva che soprattutto il fumo, la pipa, determina quel tipo di atteggiamento mentale: noi potremmo pensare che anche la situazione di rilassamento, la casa, la poltrona, lo determinino: ma comunque è un fatto che Holmes, come già Dupin di Poe, riesce a cedere a questo mondo della conoscenza, ma anche dell'immaginazione, attraverso questo spogliarsi, questo astrarsi, questo essere completamente privo di contatti con la realtà materiale per entrare in un altro mondo (è ovvio che tutto ciò non ha niente a che vedere con gli effetti degli stupefacenti). E' la meditazione che gli consente di accedere a questo mondo della creatività. Rimane qui un altro particolare riguardo alle differenze tra psicanalisi e metodo investigativo: perché poi alla fin fine Holmes, dopo che ha immaginato nella sua mente la soluzione del problema, è vincolato ad un dato reale: è costretto ad andare a verificare la sua soluzione teorica nella realtà. Deve controllare nella realtà se quello che aveva immaginato era in effetti vero. In questo senso il rapporto di Holmes con la realtà è molto più vincolante di quello che abbiamo noi psicanalisti, perché quando noi psicanalisti ci siamo inventati una bella storia, insieme con i nostri pazienti; quando i nostri pazienti sono soddisfatti della bella storia che noi abbiamo loro raccontato, o che loro hanno raccontato a noi o che ci siamo raccontati insieme, questo per noi è sufficiente. Noi non abbiamo bisogno della realtà.


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