Homo Sapiens

rivista di filosofia, arte e letteratura


Presentazione

Se è vero che la destinazione pensabile di una rivista è il rendere noto lo spirito della propria epoca, allora sarà necessario comprendere che questo "spirito" oggi s'incarna nel significato più essenziale della parola silenzio, un silenzio imposto, non ontologico o metafisico, non il silenzio dell'essere, per intendersi, ma un silenzio che è il prodotto della nostra storia più recente, delle scelte e delle strategie che sono state adottate, del come si è determinata di fatto la società di massa e la sua cultura. La ricerca, lo studio, lo stile che la rivista porterà innanzi, sarà il dar voce alla nostra epoca attraverso una lotta, una contesa contro le false voci, le false idee che l'epoca stessa produce come propria immagine, mascheramento del nulla a cui è destinata, occultamento della sua determinazione sociale.

In ciò risiede la pretesa storica di "Homo Sapiens" che svela il suo odio contro lo storicismo, ma che annienta l'idea stessa di storia, di pensabilità del tempo storico: quest'ultimo è un baratro in cui sprofonda ogni umanesimo, ogni teologia, ogni sistema di pensiero. La sua attualità, dunque, è un paradosso come rivelano i luoghi del bello e del positivo, luoghi che devono essere disconosciuti per poter illuminare quel che non è potuto giungere all'espressione. Il primo passo deve essere compiuto dalla critica, essa deve porsi in quanto tale: distruggere ed esporre i grandi nessi, aprire le nuove strade e disegnare costellazioni. Ma ciò non basta: Walter Benjamin scrisse che il secondo passo della critica è quello di occuparsi dell'opera d'arte - "la grande critica conosce attraverso lo sprofondamento" - ma questa immersione non è consentita se non nel passato, a noi improbabili archeologi.

È possibile, comunque, rintracciare un oggetto di riflessione, questo oggetto è la rappresentazione: filosofia, arte e letteratura devono confrontarsi, rifiutare qualsivoglia protezione ideologica e scontrarsi rispecchiandosi. Ma oggi non possono esistere né filosofi, né artisti, né scrittori; il confronto avverrà, quindi, fra coloro che ricercano dentro questa feroce contraddizione del nostro tempo. Essi cercano una lingua sapendo che a nulla li condurrà questa ricerca; sono confinati nello spazio della critica, devono interrogarsi sull'essenza di ciò che utilizzano come materiale e, facendo ciò, perdono ogni immediatezza: sono schiavi, inutilmente ribelli, della citazione.

La nostra contemporaneità, purtroppo, è lunga un secolo, o forse anche più, se pensiamo a Leopardi o a Nietzsche, e dunque è da accettare l'idea che la "trattazione filosofica" sia lo strumento principe per una collocazione universale di ciò che la rivista enuncia, a patto che l'idea stessa di trattato filosofico sia sottoposta a critica, interrogandosi sul perché gli autori più significativi del Novecento hanno scritto opere che, su un piano immanente dell'esposizione, distruggevano l'idea di trattato.

Nei programmi delle migliori riviste, d'altronde, resiste il dogma dell'attualità e del far venire alla luce ciò che altrimenti resterebbe sepolto per sempre dalla cultura di massa. Poiché questa rivista non nutre alcuna speranza sulle sorti della cultura nazionale ed europea e sui nuovi talenti in procinto di nascere, la sua massima aspirazione sarà di conseguenza una inattualità di fatto, non certo voluta filosoficamente ma soltanto esperita come frutto amaro delle odierne consapevolezze.

L'inattualità della posizione intellettuale, non deve essere intesa come scarto o interruzione, come discontinuità, dato che tale nozione appartiene propriamente all'orizzonte moderno, orizzonte nel quale si dava un procedere dell'esperienza, una sua crisi e una sua possibile salvazione: il particolare, l'elemento fenomenico, e il suo passato andavano salvati, emancipati da un concetto astratto e semplificato del tempo.

Ora non possiamo filosoficamente porre quella crisi, la fine di ogni ordine rappresentativo è la crisi stessa della filosofia, dell'arte, del pensiero in quanto tale: è crisi, o fine, del logos, di una comunicabilità di tutte le lingue e di una loro traducibilità.

Il contenuto di verità e il contenuto reale, il tenore stesso della verità e quello della cosa sono da sempre lontani dalla comunicabilità: non vi è un medium che renda possibile fra loro uno scambio. Ciò è il vero arcano della cultura occidentale, il negativo insondabile a cui si è risposto con la metafisica dell'azione e della violenza. Il portato metafisico della Tecnica risiede nella sua disposizione a fornire una risposta globale al porsi conflittuale dell'uomo nella storia.

Vogliamo rispondere, invece, con le armi di una critica ostile all'ornamento e all'apologia dei grandi autori del passato, violenta solo nella sua indifferenza a qualsiasi lume, sia pure quello della ragione. Razionalismo ed empirismo sembrano facili scappatoie di fronte all'irrazionalità del mito: ne sono, invece, l'altra faccia, spesso orrenda e selvaggia. Alla diarchia che si è determinata negli ultimi cinquant'anni di storia del pensiero, il regno di Heidegger e Wittgenstein, corrisponde un'ambivalenza concettuale che irrora la Tecnica di sempre nuove energie; aprire i confini del linguaggio, rinnovare la denominazione dell'umano nel tempo, significare l'essere attraverso la coscienza delle convenzioni; tutto ciò rende inefficace lo strumento centrale che è stato usato contro Hegel, ma in realtà contro tutto ciò che da lui sarebbe rinato: Kritik.

Mito non è soltanto ciò che sfugge all'orizzonte della trattazione filosofica, ma è il corpo negato di quella trattazione, il soma che scompare una volta delimitata la tradizione a cui si rimanda il Discorso, la lingua prescelta, il fine concettuale che si è prefissato. Ogni posizione intellettuale è rilevante, ma non è questo il punto di vista che ci interessa. La rivista nasce per smontare, distruggere, scavare nell'abisso di tempo che ci separa da un'origine irrintracciabile dell'umano; la cultura, la civiltà sono nozioni che ci sorprendono per la loro brutalità concettuale e vogliamo sondarne i fondali, i retroscena, per violare la scientificità delle nuove discipline che interpretano il ruolo di ultima trincea della scienza.

Ritorna, in tal modo, il termine di Critica, una critica immanente ai testi, ai linguaggi, alle interpretazioni, all'ideologia: a tutto ciò che è testimonianza del passato e che porta con sé una pretesa di verità per il presente.

 

© 2001, Teseo Editore, Roma


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